Mentre cresce, anche in Italia, un forte sentimento antieuropeo - alimentato pure da molta comunicazione che sembra essere più pronta ad incitare e sostenere un forte qualunquismo, piuttosto che a stimolare un dibattito fecondo - la “politica” non è più capace di andare oltre le note “scenette”: “dialogo o pseudo dialogo, lavoriamo insieme per salvare il Paese, vi presentiamo provvedimenti epocali” e tante altre ancora.
Si lascia dominare dalle nuove forme che le “moderne ideologie” le impongono sostenendo, con molta ipocrisia, più il dire che il fare. La politica si lascia andare ancora a reiterate forme stereotipate - ma che ancora hanno grande presa su parte dell’elettorato - e questo si è ben visto anche all’insorgere della pandemia. “Fascista, razzista” ecc. sono sempre più frequentemente parte dell’offensiva lanciata contro chi, legittimamente, manifesta un’idea diversa. Vive un sottofondo di odio e rancore che forse mai avevamo conosciuto ai tempi della Prima Repubblica.
La pandemia si è rapidamente sovrapposta alla grave, e lunga, crisi economica, ed entrambe si sono sovrapposte alla “crisi di civiltà” che da tempo viene avvertita - purtroppo, anche se non a tutti i livelli -. Nel loro insieme questa “polis crisi” non trova risposte, né sembra ancora essere capace di attivare “un nuovo pensiero” che riesca nella cultura, nella società, nella politica a ingenerare quella stagione “neo umanistica” di cui è necessario sottolinearne l’urgenza.
Di certo il neo umanesimo è un concetto che riporta l’uomo al centro e questo passaggio non può essere separato dal recupero dell’etica: ci vuole una nuova stagione con una nuova etica personale e comunitaria: solidarietà e sussidiarietà, responsabilità nella giustizia sociale, sono essenziali per ricostruire il vero “bene comune”! E questi valori non possono essere presenti solo nelle dichiarazioni.
Anche il nostro mondo cattolico - che spesso riesce pure a supplire bene, in nome della solidarietà, a gravi carenze dello Stato - non sa poi, nella sintesi politica, separarsi da quel “ritorno contingente” che talora riesce a ricavare. “Contributi economici, visibilità televisiva”... La visibilità televisiva è oggi uno degli strumenti attraverso i quali si “lega” un rapporto che dovrebbe essere “più democratico” e non solo il frutto di una “particolare clientela”.
Papa Francesco, tra le poche voci planetarie autorevoli, ha tracciato, anche in questi giorni, una indicazione che va nel segno della concretezza ed il Suo “chiamare alla prova della solidarietà ‘senza’ differenza tra le persone” perché (...) “questa tempesta ci coinvolge tutti e se ne esce tutti insieme” (o non se ne esce) ha richiamato la centralità della persona umana e del lavoro per tutti. Le risposte però non sembrano andare nel senso del nuovo.
Il senso del futuro non viene letto e ricercato alla luce delle emergenze ma predomina, in molti Paesi, ancora la “paura” di dover pagare per altri, altri che spesso sono ancora classificati con i vecchi stereotipi, e per quanto ci riguarda “mafia, pizza e spensieratezza” ancora predominano nel Nord Europa.
Le incertezze creano paure e preoccupazioni ma la necessità di rimodulare la nostra individualità nel legame con gli altri viene meno allorquando si ritiene “di dover continuare” col modello economico che domina le esperienze della globalizzazione. La crisi delle democrazie - di cui si deve parlare senza paura - si manifesta col ritorno delle dittature - in Turchia, in Ungheria, in Polonia, in Russia, in Slovenia, ma sotto certi aspetti anche nel venir meno del “ruolo” del Parlamento in Italia e in Spagna - che esercitano il potere in forme diverse dal recente passato ma che, nella sostanza, proiettano e rafforzano l’idea oligarchica del “comandante capo”.
A queste si somma il peso dell’economia liberista. Giovanni Paolo II aveva, a Tor Vergata il 1° maggio 2000, ben capito come il centro del problema “stesse nel globalizzare i diritti dei lavoratori in tutto il mondo”.
Quale Europa vogliamo?
E’ reale pensare che si possa riuscire a disegnare una nuova Europa che sappia superare la regressione di oggi e possa continuare a garantire la pace attraverso il condividere ancor quei valori etici basilari che il cristianesimo aveva ben radicato nella società? L’Europa dei popoli è finita col diventare l’Europa dei governi e così non dobbiamo sorprenderci troppo se alcuni di questi “pensano prima a se stessi e difendono il loro elettorato”: credono di potersi salvare da soli magari solo perché oggi hanno il loro bilancio in forte attivo.
Ma se l’Europa è quella dei governi un buon realismo ci induce anche a “ben comprendere” perché il bavarese o l’olandese sia “preoccupato” di poter pagare il conto per gli italiani che, con la loro furbizia, e talora immunità, non sempre sono stati all’altezza del ruolo che gli compete. Quanto sperpero e quante frodi abbiamo visto - e non solo nell’agricoltura del sud - e quanta lentezza nel condannare. La miseria della nostra responsabilità, di ieri e di oggi, deve essere posta in evidenza giacché poi “tutti i nodi arrivano al pettine”.
Noi del MCL, europeisti convinti, anche se molto critici, da sempre, solo un anno fa abbiamo chiesto di avere “più Europa per farla!”, per farla meglio.
Vogliamo essere meno dipendenti dalla burocrazia, vogliamo che siano riconosciute le nostre comuni radici giudaico cristiane, vogliamo il ritorno della politica a guida delle istituzioni, vogliamo che la solidarietà e la sussidiarietà non siano più la risorsa dell’emergenza - come invece dimostrano tutti gli atti di questi giorni - vogliamo più giustizia, più lavoro, più libertà.
C’è bisogno di una nuova conferenza intergovernativa per decidere se vogliamo un’Europa federale e per decidere insieme il nostro domani. Forse è giunta l’ora di superare i pregiudizi e di guardare al modello federale con più coraggio e più fiducia.
Piergiorgio Sciacqua