“Senza corpi intermedi l’Italia è spaccata tra ribelli e caporali”. Provocatoriamente, così titolava il “Corriere della Sera”, quasi sei anni fa, un'interessante riflessione di Luciano Violante (17 novembre 2016). In mezzo ai due tipi umani, il ribelle e il caporale, spesso in modo schizofrenico confliggenti in ognuno, scriviamo noi ora, quando la situazione non è certo migliorata, il “nudo cittadino”. Nudo perché privo di ambiti (comunità umane orientate a una proposta di “bene comune”) in cui relazioni e appartenenze, ma anche opere e idealità, possano dare un habitus alla cittadinanza.
In tempi più recenti, all'inizio di questo mese, ancora sul quotidiano di via Solferino, Dario Di Vico evidenziava come “non bisogna essere dei nostalgici della concertazione per osservare come il ruolo delle parti sociali sia oggi del tutto marginale, il che suona abbastanza singolare in un momento storico in cui politologi, filosofi, giuristi e persino businessmen enfatizzano il valore strategico della mediazione, della comunità e della responsabilità sociale”.
Sempre più “partitocrazia senza partiti” (a proposito di altri “corpi intermedi”), la politica sembra voler lucrare consenso, smarrito ogni orizzonte di senso, dal lisciare - alternativamente - ribellismo e arroccamenti sicuritari/d'interesse.
Possiamo dire che non esistano responsabilità di quelle organizzazioni che ancora si autodefiniscono “corpi intermedi”? È possibile che si autoassolvano?
L'inviato speciale del Corsera, nel commento già richiamato, distribuendo meriti e colpe, concentrandosi su sindacati e Confindustria fa ben notare che “non sono riusciti nemmeno a rivendicare davanti alla politica e al Paese intero il piccolo miracolo di aver riaperto le fabbriche, di aver contenuto al minimo i contagi sui luoghi di lavoro, di aver rilanciato la manifattura permettendole di non perdere il ritmo delle grandi catene internazionali”.
La mancanza di consapevolezza, anche se gli industriali hanno proprio in questi ultimi giorni fatto sentire la loro voce, nasce da una confusione intorno alla propria natura (deficit d'identità e autocoscienza, potremmo definirlo). Un problema che riguarda in senso ampio tutto il mondo della rappresentanza, tutte la “società di mezzo”. Guardando al mondo cattolico, lo ha chiarito il presidente Mimmo Delle Foglie, intervistato dalla Sir, ammettendo che “Le grandi crisi dei corpi intermedi ecclesiali hanno origine nel vuoto spirituale. È quest’ultimo che determina irrilevanza nella politica e nella cultura, non il contrario”.
Proprio riflettendo sull'articolo dell'ex presidente della Camera con cui abbiamo aperto, Giorgio Vittadini individuava un compito per costruire coesione partendo dall'essere insieme nella società (non solo per erogare delle risposte, bensì per innescare processi). Il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà scriveva che “Per uscire dalla strettoia causata dalla ricercata esclusione dei corpi intermedi, da una parte, e dal loro impoverimento ideale, dall’altra, occorre il recupero della originale centralità della persona e il rafforzamento di un ruolo educativo nei confronti di associati e militanti. La grande sfida che i nuovi problemi sociali ed economici pongono alla persona è, prima di tutto, conoscitiva; occorre comprendere i problemi e le opportunità che nascono da una realtà in continua evoluzione e occorre intuire e progettare il contributo che “dal basso” può essere offerto. Da ciò può nascere una novità anche nell’azione delle realtà sociali: sostenere le persone nel continuo cambiamento e nella costruzione di risposte adeguate alle sfide del presente”.
Siamo ancora alle prese con le doglie di un “cambiamento d'epoca”, per usare la formula cara a papa Francesco, illudersi che si tratti (da ribelli o da caporali) di chiudere rapidamente una parentesi significa condannarsi all'irrilevanza. E lasciare sola una politica, di governo e d'opposizione, che ha dimostrato di non saper decidere perché disinteressata ad ascoltare, a comprendere.
Marco Margrita