“L’attributo della mia divinità è il Libero Arbitrio! È tutto ciò con cui io posso dimostrare, nella sua forma essenziale, la mia ribellione e la mia nuova terribile libertà. Perché essa è davvero terribile. Io mi uccido per manifestare la mia ribellione e la mia nuova terribile libertà”. Queste parole, che Fedor Dostoevskij fa pronunciare all’anarchico Kirillov ne “I demoni”, disegnano una delle immagini più forti dell’abisso a cui può condurre il concetto di autodeterminazione.
Andando oltre la coltre dell’emotivismo e della falsa pietà, questa “terribile libertà” è il cuore della questione sull’eutanasia che potrebbe prefigurare l’introduzione del “diritto di morire” nel nostro ordinamento. Si tratta della posta in gioco contenuta nel richiamo che la Corte Costituzionale ha fatto al Parlamento, affinché modifichi, entro il 24 settembre prossimo, alcuni aspetti della disciplina sul fine vita.
Ad oggi, in Parlamento sono depositate quattro proposte di legge: tre proposte, in modo più o meno conclamato, introdurrebbero l’eutanasia; la quarta, seguendo alcune indicazioni della Consulta, attenuerebbe il reato penale nel caso in cui “l’aiuto al suicidio” coinvolgesse i familiari del malato. In una recente intervista il presidente della CEI card. Gualtiero Bassetti, ha insistito sull’importanza delle cure palliative, sulla necessità di investire su quelle opere che assistono fino alla fine i malati e sostengono le loro famiglie, e si è pronunciato con un secco “no” sulla possibilità di introdurre l’eutanasia.
Sempre in questi giorni si sono confrontati in un convegno sul tema “Diritto o condanna a morire per le vite inutili?”, 32 associazioni del laicato e un gruppo eterogeneo di parlamentari ed ex parlamentari, dando vita a un dibattito serrato che ha messo in risalto il “no” a qualsiasi forma di eutanasia e, allo stesso tempo, il rafforzamento delle cure palliative. A questa importante iniziativa ha dato il suo sostegno convinto il Movimento Cristiano Lavoratori che, attraverso il suo presidente Carlo Costalli, ha affermato: “Non esiste un diritto alla morte e non esistono vite inutili. […] Una società si giudica da come tratta i più deboli, le fragilità. Finora siamo sempre stati orgogliosi del nostro Paese: vogliamo continuare ad esserlo”.
Non è una questione di nicchia relegata alle fissazioni del mondo cattolico, ma una sfida per tutti, perché se si tratta in un certo modo la fine o l'inizio della vita, c'è da supporre che si debba trattare diversamente ciò che c'è in mezzo? L’utilitarismo che c'è dietro una certa smania di definire una vita utile o meno, degna o meno, una certa smania di eliminare alla radice ogni esperienza di dolore e di limite che ci riporta alla nostra dimensione umana, è lo stesso che è alla base di un nuovo sfruttamento della persona nel mondo del lavoro, che è alla base della tratta degli esseri umani che attraversa i deserti e solca il mediterraneo. È la cultura dello scarto contro cui Papa Francesco ci mette costantemente in guardia. Diritti “sociali” ed “etici”, non possono essere separati, vanno di pari passo, per una promozione integrale della dignità dell’uomo.Una dignità che non può essere definita o rimodulata, di volta in volta, dal potente di turno, ma che segna il limite ultimo all’arroganza di ogni potere.
Il dolore e i drammi che sono dietro le richieste di eutanasia non possono essere liquidate come cambiali, ma vanno accolte e abbracciate. Come? Lo suggerisce ancora Fedor Dostoevskij in un passaggio finale di “Delitto e Castigo”, quando, commentando la conversione del protagonista, afferma: “alla dialettica subentrò la vita”. Il punto non è la contrapposizione dialettica, ma la testimonianza della vita. Non basta dire che c'è dignità anche nella sofferenza, occorre qualcuno che testimoni che la sofferenza non è l'orizzonte ultimo dell’uomo. Non basta dire che la vita è un dono, occorre qualcuno che accompagni e testimoni la ricchezza di una vita ritenuta inutile.
Il nostro Paese è pieno di queste esperienze, siano esse opere o virtuosi rapporti tra il personale medico, i malati e le famiglie. A queste esperienze dovrebbero ispirarsi il legislatore e la magistratura, affinché il diritto alla vita, che rimane il cardine della nostra Costituzione, sia compiutamente affermato. In caso contrario, non vorremmo che a qualcuno venisse la grottesca idea che assieme al diritto di morire, si possa configurare un analogo dovere.
Giovanni Gut