A ben riflettere il voto uscito dalle regionali di domenica in Emilia-Romagna e Calabria non solo non sorprende, ma risponde ad una logica politica.
Nella regione centrosettentrionale vige da decenni un potere consolidato che ha attraversato intatto l’evoluzione del Partito Comunista fino ad oggi. E’ la sede centrale della “ditta”, non solo e non tanto per il peso delle imprese cooperative, ma per la rete di potere regionale che condiziona socialmente ed istituzionalmente il territorio. Un conto è il voto alle europee che può essere considerato in qualche modo, in possibile “libera uscita”. Un altro è quando si mette in discussione il luogo dove si decidono le politiche territoriali. Tutto ciò, in questa occasione, ha sollecitato gli elettori verso la continuità, che in parte spiega l’alta affluenza e con l’evidenza che il famoso voto disgiunto non ha solo eroso il fragile movimento di Grillo, ma ha penalizzato, in una certa misura, anche il candidato presidente della Lega. E questo non si verifica solo per una “stima” verso la “buona amministrazione” di Bonaccini, ma attraverso interventi “convincenti” nei riguardi delle amministrazioni locali, anche di segno opposto al centrosinistra.
Se questa è la spiegazione “strutturale” del risultato ancora più importante è il suo significato per le prospettive delle forze politiche. Il leaderismo di Salvini non ha sfondato. Era difficile riuscirci per quanto abbiamo sopra indicato, ma resta il fatto che lo si è tentato, ma non ha funzionato. Sul piano politico in Emilia e Romagna lo scontro ha avuto come soli protagonisti il capo della Lega e il solido Bonaccini. Salvini si è lamentato di essere stato “lasciato solo”, ma è l’approccio individuale che connota la politica leaderista che contiene questa condizione. Nel bene, cioè nei vantaggi, ma anche nel male, cioè nelle sconfitte.
Il presidente uscente, prudentemente, aveva evitato di apparire nella sola referenza con il PD. Mentre Salvini ha egemonizzato il centrodestra emarginando gli alleati, Bonaccini ha evitato di apparire come uomo di partito puntando a raccogliere consensi che si erano disimpegnati con l’operazione Sardine - astutamente inventata a tavolino - e con l’appoggio di ambienti cattolici che a Bologna hanno una tradizione progressista storicamente collaudata. In sintesi le elezioni emiliano-romagnole sono state lo scontro tra un leader ed un campo più largo e, in apparenza, meno connotato politicamente.
Differente lo scenario politico dell’altra regione al voto, la Calabria, che aiuta a spiegare anche il senso ed i limiti del voto, pur elevato, di centrodestra nell’Emilia e Romagna. Qui il centrodestra ha prodotto uno schieramento plurale con tre partiti pressoché sullo stesso piano, con l’aggiunta di un forte sostegno civico e una candidatura “popolare”, indicata da Forza Italia che si è dimostrata assai più attrattiva delle stesse ottimistiche previsioni della vigilia. Nonostante non ci fosse alcun leaderismo di campagna elettorale, la Jole Santelli ha staccato di oltre il 30 per cento il suo competitore. La condizione politica della regione, peraltro, non presentava un terreno del tutto favorevole. L’amministrazione uscente era di centrosinistra, il movimento dei 5 Stelle era la forza politica che aveva registrato i più alti consensi, come in larga parte delle regioni meridionali. Occorreva una coalizione di centrodestra ampia con una guida “moderata”, cioè la sola formula che avrebbe potuto attrarre un radicato consenso civico e “popolare”.
L’esito del voto delle due regioni, al di là degli effetti sulla stabilità o meno del governo - rafforza il Pd, ma rende più inquieti Renzi e 5 Stelle - offre delle indicazioni per quanto riguarda la strategia del centrodestra. In fondo l’occupazione della “cittadella” emiliana avrebbe consacrato Salvini e la sua strategia politica. Il “moderatismo” di Forza Italia si dimostra largamente vincente.
La comparazione dei due risultati - pur comprendendo la particolare asperità del bunker emiliano - produce una indicazione importante: una linea politica moderata e di apertura del centrodestra, comunque nettamente alternativa al centrosinistra, trova nuovi spazi di consenso meno legati alla protesta ed alle soluzioni estreme, ma disposti a collocarsi su una linea di cambiamento radicata su valori civici di convivenza e di spazi di tutela di chi vuole valorizzare il ruolo dei ceti medi e popolari e di quei corpi intermedi che desiderano stabilità e sviluppo del Paese.
Pietro Giubilo