La domanda posta da Piergiorgio Sciacqua su quale Europa vorremmo, ci chiama a riflettere, da una parte sull’insoddisfazione per l’angusto spazio nel quale troppi egoismi hanno condotto il cammino europeo, dall’altra sull’invito a come connotare una visione più in grande. Oltre gli affanni o i piccoli passi in avanti c’è il tema vero cioè “se vogliamo un’Europa federale” e, comunque, se intendiamo ritornare “a decidere insieme il nostro domani”.
La martellante insistenza, non solo da parte dei sovranisti, con la quale vengono criticate le istituzioni europee ed i difficili passaggi di questa fase politica, non è destinata a produrre miglioramenti. Anzi si riverbererà in un maggiore distacco dei cittadini da Bruxelles. Le difficoltà, invece, ci devono sollecitare ad una ripresa del vero disegno europeo politico e federalista. Un federalismo solidale. Già si è visto che l’intervento più significativo nella crisi, quello della BCE, è stato realizzato da una struttura federale.
Occorre riaffermare che l’Unione Europea non può ridursi a una camera di compensazione ove trovare un bilanciamento tra gli interessi nazionali. L’idea stessa che il preminente interesse nazionale sia l’obbiettivo con il quale i rappresentanti dei singoli Paesi si siedono al tavolo del Consiglio europeo è, di per sé, la causa stessa delle divisioni e, al massimo, consente, non sempre, di giungere ad un non esaltante compromesso.
Nella storia europea ci sono stati momenti decisivi nei quali l’interesse generale si è accompagnato alla costruzione dell’Europa come l’accordo sul carbone e l’acciaio, il Mercato Comune, la costruzione delle istituzioni quali il Parlamento e la BCE, i passi per la messa in comune delle risorse e gli interventi per le aree arretrate con i fondi europei di coesione, libertà di circolazione, la moneta unica e così via. Restano incompiute la Costituzione, una politica estera e di difesa comune, più complessive prerogative del Parlamento, una integrazione delle politiche fiscali, il coordinamento per la sicurezza e le politiche immigratorie, il pilastro sociale ed altro. Tutte questioni aperte che, come un fiume carsico, emergono per, poi, nascondersi nuovamente.
C’è, in sostanza, un grande spazio intravisto nel disegno europeo dai suoi fondatori, realizzato solo in parte e che, purtroppo sembra essersi incagliato, incrementando soprattutto aspetti settoriali, in una visione funzionalista che, a volte, si riducono a gabbie regolamentari, aprendo varchi al dissenso.
Il sovranismo nazionale nasce, in sostanza, perché è venuta meno l’idea di un grande sovranismo europeo, questa è la verità. Perché rinunciare a seppur modesti interessi nazionali, se non ci sono prospettive per un più ambizioso progetto comune?
L’Europa viene largamente percepita come la causa condizionante del mancato raggiungimento dell’interesse nazionale, perché, evidentemente finisce per prevalere l’interesse dei più forti.
Ed allora nel difficile passaggio di questi giorni non va dimenticato il quadro più generale.
Alla base delle divergenze manifestate su alcuni aspetti degli strumenti di intervento finanziario, vi sono prospettive differenti. Due idee diverse di Europa. Una intrusiva sugli aspetti regolamentari, leggera negli aspetti politici, aliena ad assumere strutture federali. Un’altra, invece, che comporta più integrazione politica negli ambiti propri, che intenderebbe, cioè, delegare altra sovranità.
Un acuto esperto, Federico Petroni, nella rivista di geopolitica Limes, definisce i sostenitori di quest’ultima idea di Europa come i ”più avvezzi ad accettare la mano statale e a riconoscere precursori dell’unità europea nella Roma antica o in Carlomagno”. Ci sembra un più attraente fondamento tradizionale e storico. La base per un rilancio del federalismo.
Del resto fu proprio De Gasperi, al Consiglio europeo del 1951 a stabilire in quale direzione si dovesse andare, in altri termini, per dirlo con le parole di Sciacqua, quale Europa scegliere: “Se noi costruiremo soltanto amministrazioni comuni, senza una volontà politica superiore vivificata da un organismo centrale, potrebbe anche apparire ad un certo momento una sovrastruttura superflua e forse anche oppressiva quale appare in certi periodi del suo declino il Sacro Romano Impero. In questo caso le nuove generazioni prese dalla spinta più ardente del loro sangue e della loro terra, guarderebbero alla costruzione europea come ad uno strumento di imbarazzo ed oppressione”.
Dalle forze politiche e, soprattutto dalla società civile e dai suoi corpi intermedi, dovrebbe sorgere con forza una esigenza rinnovata verso la necessità di individuare nell’Europa lo spazio e l’orizzonte necessari. L’Europa unita deve crescere ancora al fine di mantenere la sua centralità nello scenario mondiale. E’ questa la sfida sulla quale, superata la grave contingenza di oggi, si deve misurare una cultura politica che ritrovi radici, ambizioni e futuro.
Pietro Giubilo