È insieme al centro e su un confine, la sede regionale del Mcl piemontese. Al numero 192 di corso Regina, quasi all'incrocio con quel corso Principe Oddone che ha cambiato fisionomia e funzione urbanistica dopo la conclusione degli annosi lavori per il passante ferroviario che ha riconnesso il tessuto urbano, si vive l'incontro-scontro fra queste due dimensioni. Comodamente raggiungibile da quel centro che mette in vetrina l'idea di una nuova vocazione terziario-turistica per la fu città-fabbrica, ma nello stesso tempo a ridosso della parte bassa del quartiere San Donato dove più visibile è l'impatto dell'immigrazione dal Nord Africa e non solo. Per di più, non proprio un particolare trascurabile come costante memento a come vivere la circostanza come vocazione, dista qualche centinaia di metri da quel crogiolo di vie, più giù in direzione Porta Palazzo, che sono stato lo scenario in cui la generativa santità sociale torinese, nell'Ottocento, ha addensato una mirabile quantità di opere e di cristianesimo vissuto. Opere che continuano ancor ora, con tutte le difficoltà di pensiero e azione del caso, capaci di aggiornarsi leggendo “i segni dei tempi”.
È sembrata, quindi, quella sede quasi sospesa tra insider e outsider (di vecchie e nuove povertà), il presidio ideale dove mettere in gioco - spendendoci noi con loro - i due volontari del Servizio Civile impegnati nel progetto sovraregionale (coinvolge anche le Unioni territoriali di Novara e di Genova) “Coltiviamo Inclusione”, avviato a metà luglio.
A dedicare un anno della loro vita all'interno del Movimento sono Marvis e Heydi. Il primo ventunenne nigeriano e la seconda ventenne di origine peruviane. L'uno ha conosciuto il volto drammatico dell'emigrazione giungendo sulle spiagge siciliane su un “barcone della speranza” e iniziato a conoscere l'Italia in un Cara, l'altra compiuto tutti i suoi studi nel nostro Paese (fino al diploma all'Alberghiero) e costruito un'integrazione di successo. Le loro storie, con le difficoltà e le conquiste, non sono a lato ma parte integrante del progetto che quotidianamente costruiamo.
Essere una presenza incontrabile e uno spazio in cui accogliere il bisogno (nella semplicità e crudezza in cui può esprimersi come domanda) richiede sempre una disponibilità all'immersione nel reale e a correre il rischio della vulnerabilità, ai tempi d'incombenza del Covid ancor più. Farlo “in squadra”, con due giovani che la condizione di straniero l'hanno vissuta e vivono in modo diverso, è davvero un richiamo ad essere stranieri alle logiche dell'esclusione e dell'arroccamento egotico nella logica noi-loro. È il coltivare l'integrazione non come un programma omologante, bensì come un seminare giorno per giorno nella scommessa su meticciato che valorizzi il meglio delle identità.
Marco Margrita
Presidente regionale Mcl Piemonte