No! Non possiamo sprecare questo tempo sospeso a cui ci ha costretto la pandemia di coronavirus. Anzi, questo è il tempo giusto per scrutare il futuro, senza farci prendere dal catastrofismo, ma coniugando prudenza, speranza e realismo.
In molti si affannano a dire che dopo la guerra lampo del coronavirus (con il suo prezzo dolorosissimo di morte e dolore), “nulla sarà come prima”. Per la politica e l’economia, innanzitutto, ma non solo. Non possiamo dirci certi di questa facile profezia, ma abbiamo il dovere di interrogarci, come persone, lavoratori, famiglie, comunità, corpi intermedi e nazione. E difficilmente potremo prescindere dal nostro triangolo delle Bermude: salute, lavoro e democrazia.
Il coronavirus ha messo in luce i limiti della nostra sanità, evidenziando le scelte sbagliate di ieri. Innanzitutto i tagli alla spesa pubblica, sia in termini di personale sia di strutture e forniture. Se la sanità del Nord è al limite del collasso, figuriamoci quale potrebbe essere un impatto violento della pandemia sul resto del Paese. Dunque, dovremo tutti ripensare il nostro modello di sanità. Confermandone con coraggio la centralità nel sistema generale del Welfare e riprendendo a investire nella logica della previsione e della prevenzione medica. Come non rammaricarci per gli allarmi (inascoltati) lanciati negli anni scorsi dall’Oms sul rischio di epidemie? Come corpo intermedio dovremo certamente ribadire il nostro sostegno al sistema sanitario, pubblico e privato, ma in un’ottica sempre più sussidiaria e mutualistica. Per noi il diritto alla salute è carne viva della Costituzione repubblicana. E tale deve rimanere.
Ma chi pagherà il prezzo più duro di questo inatteso Dopoguerra? Di sicuro i lavoratori con le loro famiglie. Tutto ciò che il governo italiano e l’Unione Europea stanno mettendo in campo per salvaguardare i lavoratori e le imprese, non può che trovarci solidali. Anche se nessuno, in questo momento, può prevedere l’impatto effettivo della crisi globale. Soprattutto in termini di chiusura o di grande affanno, anche per mancanza di liquidità, delle piccole e medie imprese, così come dell’intero comparto del Terzo settore. Con ogni probabilità si estenderà, in misura esponenziale rispetto ad oggi, l’area dell’assistenza. Ma è impensabile che lo Stato e le istituzioni europee e internazionali possano provvedere all’infinito. Perciò dovrà essere anche nostra cura favorire un clima di rinascita, di cooperazione, di messa in comune di beni e servizi.
Come corpi intermedi, come è molto probabile, saremo chiamati a fungere da tessitori sociali. A raccordare con grande efficacia popolo e istituzioni, persone e amministrazione pubblica, domanda di servizi e risposta ai bisogni. A seminare a piene mani solidarietà, compartecipazione, buone relazioni industriali. A rammendare un Paese che certamente avrà bisogno di ritrovare fiducia in se stesso.
Noi tutti dovremo essere protagonisti della ricostruzione del Paese. Con la nostra intelligenza creativa, con la nostra capacità di dialogo, con la nostra solidarietà concreta, con la nostra voglia di servire il popolo, con la nostra abilità nell’accompagnare i processi e facilitare il rapporto fra le persone e lo Stato nelle sue diverse articolazioni. Certo, sostenuti dalla nostra coscienza cristiana, che ci impone di non lasciare indietro nessuno.
Ma nella nostra responsabilità comune rientrerà anche la ricostruzione democratica del Paese. Ricoprendo sino in fondo il nostro ruolo di corpo intermedio, ma soprattutto tornando a camminare nel solco della Costituzione repubblicana che ha in sé gli anticorpi per ogni deriva autoritaria. Noi ci adopereremo perché le virtù della società aperta restino inviolate, e con esse tutti gli spazi della nostra libertà, responsabilità e partecipazione. Fattori ineludibili della democrazia che ci sta sommamente a cuore.
Domenico Delle Foglie
P.S. Un immenso grazie a tutti i medici e infermieri che sono in prima linea e a tutti i lavoratori che consentono al nostro Paese di non crollare sotto il peso del coronavirus.