Con la Enciclica “Fratelli tutti” Papa Bergoglio compie un passo di grande valore spirituale e storico: arricchisce di concetti nuovi, nella continuità, la Dottrina Sociale della Chiesa. Dimostra di accettare la sfida che il mondo d’oggi impone con le sue nuove diseguaglianze e ingiustizie, le false risposte e i crescenti conflitti, assumendosi il compito di orientare complessivamente l’umanità verso la fraternità universale e l’amicizia sociale.
Francesco denuncia una “perdita del senso della storia”, il “bisogno di consumare senza limiti”, l’“accentuarsi di molte forme di individualismo” e “di colonizzazione culturale”. L’indirizzo prevalente, in atto, è quello di “svuotare di senso o alterare le grandi parole” per cui “espressioni come democrazia, libertà, giustizia, unità sono state manipolate e deformate per utilizzarle come strumenti di dominio”. In molti Paesi “si utilizza il meccanismo politico di esasperare, esacerbare e polarizzare”; la politica così non è più una sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace”. E’ evidente il rammarico per una possibile via da percorrere per contrastare il degrado, ma che, invece, si fa trascinare anch’essa nella manipolazione generale.
Alla base di tutto c’è anche un indebolimento dei valori spirituali e del senso di responsabilità, quest’ultimo - afferma l’Enciclica - lo si deve recuperare con il richiamo al buon samaritano per “far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo, costruttori di un nuovo legame sociale”.
Le parole con le quali il Papa denuncia questa condizione sono particolarmente forti ed invitano a “non guardare dall’altra parte, ma all’uomo ferito”, poiché è possibile cominciare dal basso per lottare per ciò che è più concreto e reale. Già tale atteggiamento dà la misura della preoccupata determinazione con la quale Francesco sente la necessità di invitare ad agire. Una Chiesa, quella di Bergoglio, che si conferma protagonista, in uscita.
E l’azione, nel testo dell’Enciclica, si dipana anche nell’esame dell’attività politica che occupa oltre 40 paragrafi.
La via indicata entra e discerne nel chiuso paradigma di oggi e prende posizione contro la divisione binaria tra “populista” e “non populista” che sembra assorbire il confronto politico a livello internazionale. Questo esame dei termini attuali della politica rappresenta una coraggiosa capacità di valutazione. Francesco smonta con ferree argomentazioni “la pretesa di porre il populismo come chiave di lettura della realtà sociale”, per indicare in alternativa la nozione di “popolo” e dell’“aggettivo popolare”; la questione è fondamentale in quanto “il tentativo di far sparire dal linguaggio tale categoria potrebbe portare ad eliminare la parola stessa democrazia”. Il rapporto tra popolo e democrazia, potremmo aggiungere, scevro da sovranismi, si esprime nella rappresentanza e nella partecipazione, oltreché in un corretto fondamento antropologico, come si esprime nelle espressioni storiche più elevate del popolarismo.
Francesco rifiuta la prassi della “ricerca dell’interesse immediato”, con ciò colpendo al cuore la odierna degenerazione politica: “si risponde a esigenze popolari allo scopo di garantirsi voti o appoggi, ma senza progredire in un impegno ampio e costante che offra alle persone le risorse per il loro sviluppo, per poter sostenere la vita con i loro sforzi e la loro creatività”. Quindi la questione del “lavoro”, fuori dalla collocazione legata alla logica economicista, ma come “dimensione irrinunciabile della vita sociale”. E’ esplicito, richiamando quanto aveva affermato nella Laudato si’, nel ridimensionare una visione puramente assistenzialista: “aiutare i poveri con il denaro deve essere sempre un rimedio provvisorio per far fronte a delle emergenze. Il vero obbiettivo dovrebbe essere di consentire loro una vita degna mediante un lavoro”.
A fronte di una visione liberale e individualista che “abitualmente” rifiuta la categoria popolo occorre, secondo Francesco, “far crescere non solo una spiritualità della fraternità, ma nello stesso tempo una organizzazione più efficiente per aiutare a risolvere i problemi più impellenti degli abbandonati che soffrono e muoiono nei Paesi poveri”, “un impegno affinché sia la società stessa a reagire di fronte alle proprie ingiustizie e all’aberrazione”, anche perché “il mercato da solo non risolve tutto”. E’ un invito forte ad “una partecipazione sociale, civile ed economica”. Non è sufficiente, secondo Francesco, l’orientarsi correttamente e cogliere con esattezza i punti di crisi, ma occorre intervenire e di conseguenza riaffidarsi ad una politica risanata.
Vanno, infatti, chiariti alcuni capisaldi di questa politica. Emergono nelle parole di Francesco la condanna nei riguardi della “politica meschina” e l’invito a uno spazio per la “carità sociale e politica” che impedisca che essa sia sostituita dall’economia. Nella politica c’è, secondo Francesco, uno “spazio per amare con tenerezza” che ne ricostruisca la “nobiltà” rispetto all’“apparire”, al “marketing”, e a “varie forme di maquillage mediatico”.
Ed allora essa deve agire “pensando al futuro”: “in certi giorni le domande devono essere: “A che scopo? Verso dove sto puntando realmente?”. Chi ne è investito della responsabilità deve essere capace di interrogarsi su come abbia agito e Francesco li invita a riflettere su ciò che hanno compiuto e precisa che la domanda non dovrà essere: “Quanti mi hanno approvato, quanti mi hanno votato, quanti hanno avuto una immagine positiva di me?”, aggiungendo: “Le domande forse dolorose saranno: Quanto amore ho messo nel mio lavoro? In che cosa ho fatto progredire il popolo? Che impronta ho lasciato nella vita della società? Quali legami reali ho costruito? Quali forze positive ho liberato? Quanta pace sociale ho seminato? Che cosa ho prodotto nel posto che mi è stato affidato?”.
“Fratelli tutti” indica la strada di una politica alta che sappia interrogarsi e che se intenda ripristinare il suo ruolo e, soprattutto la sua missione, deve fare tabula rasa dei suoi limiti e difetti.
La Dottrina Sociale della Chiesa, con questa Enciclica, riapre la pagina della politica e riconsegna tale spazio ai cristiani, ergendosi contro il suo non disinteressato ridimensionamento da parte di chi ritiene superata la democrazia rappresentativa o di chi fa del richiamo al popolo una deformazione prevalentemente ideologica.
Sono parole che i movimenti cristiani impegnati nel sociale non possono assolutamente ignorare, magari chiudendosi in un orizzonte funzionale. Esse, con l’autorevolezza massima, indicano la strada da percorrere.
Pietro Giubilo