Tunisia, Egitto: è solo l`inizio di una sfida che durerà anni
Il Mediterraneo ribolle l`Europa si svegli
Il Mar Mediterraneo si è svegliato, e come spesso accade nella stagione invernale, porta tempesta. Sulle sponde di quello che per secoli è stato il veicolo privilegiato di incontro e di scontro fra popoli e civiltà che hanno fatto la storia del mondo, si stanno moltiplicando gli episodi di violenza politica e le rivolte di piazza. Albania, Tunisia, Egitto, Libano presentano problemi e contesti diversi fra loro che sarebbe errato raccogliere in un unico fascio, e ciascuno di loro meriterebbe forse più di un approfondimento. Tuttavia, sul complesso e variegato scenario politico mediterraneo, aspro e affascinante come la sua natura e la sua cucina, si stendono dei fattori accomunanti, di carattere sia interno che esterno agli Stati coinvolti.
Dal punto di vista interno, gli avvenimenti di questi giorni ci segnalano nuovamente, in maniera semplice e brutale, quanto sia delicato e allo stesso tempo complesso il gioco democratico. Per quanto la democrazia sia portatrice di valori che molti (compreso il sottoscritto) considerano universali, essa possiede una matrice storico-culturale ben determinata e per questo dovrebbe sempre essere chiamata “liberaldemocrazia”, come fanno gli studiosi che si dedicano alla sua comprensione. Ciò significa che “democrazia” è più di un sistema di procedure e che senza il suo sostrato filosofico ideale semplicemente non funziona come noi ci aspetteremmo e come noi vorremmo. Per funzionare, essa deve essere letteralmente imparata e può richiedere il recepimento di idee, principi e norme lontani da quelli che derivano dalla tradizione in cui si è cresciuti. Se tentazioni antidemocratiche possono sempre affiorare anche nelle società di Paesi solidamente democratici, la difficoltà di approdare ad una liberaldemocrazia compiuta è messa chiaramente in luce dai fatti avvenuti recentemente in Albania e in Libano. La correttezza delle procedure elettorali, il rispetto del risultato delle urne, la soluzione pacifica delle controversie politiche e giuridiche sono elementi tanto indispensabili alla sopravvivenza della democrazia quanto difficili da far interiorizzare agli attori politici che mirano ad ottenere il potere.
Accanto al problematico inserimento della democrazia in Stati che si trovano fuori dall’area in cui essa ha visto la luce, un altro fattore accomunante gli odierni tumulti mediterranei è l’evidente perdita di rilevanza degli Stati Uniti in questo fondamentale quadrante geografico. Barack Obama cita Facebook nel discorso sullo Stato dell’Unione, facendo intendere che anche nello strumento di cui si servono i dimostranti tunisini ed egiziani per comunicare fra loro batte un cuore a stelle e strisce. Tuttavia, il Presidente dimentica una caratteristica fondamentale del cosiddetto web 2.0, ovvero degli ultimi sviluppi di Internet: i social-network e molte caratteristiche recenti della rete fanno sì che tali strumenti siano veramente senza bandiera. Una volta lanciati, essi rispondono molto più a chi li utilizza che non a chi li ha creati e nulla vieta di usare un mezzo ideato dagli americani per far passare un contenuto ad essi avverso.
Troppo tempo gli Stati Uniti hanno sostenuto regimi corrotti e invisi a larga parte della popolazione nordafricana e mediorientale. In questo momento, sposare la protesta non sarebbe credibile e d’altra parte abbandonare di colpo Mubarak potrebbe destabilizzare tutta l’area senza che si profili al momento un’alternativa credibile per la sua sostituzione. Se gli americani perdessero il loro più importante alleato nell’area, non solo vedrebbero gravemente menomato il loro ruolo nel mondo, ma le ripercussioni potrebbero essere drammatiche per tutta l’area. Un’eventuale ascesa di un governo guidato dai Fratelli Musulmani in Egitto allarmerebbe Israele, a quel punto ancora più isolato, e rafforzerebbe invece Hamas, aumentando nuovamente la tensione e spingendo pericolosamente verso un nuovo conflitto. D’altra parte, Israele teme anche l’instaurazione di un regime pro-Hezbollah in Libano, che potrebbe configurarsi nelle prossime ore. Se ciò avvenisse, sarebbe un ulteriore fattore di indebolimento per il ruolo americano nel Paese dei Cedri, già severamente limitato dalla scelta di schiacciarsi sulle posizioni del Tribunale delle Nazioni Unite che sta indagando sull’uccisione di Rafik Hariri mentre si sarebbe potuto manovrare di più con strumenti classicamente politico-diplomatici.
Il terzo fattore che accomuna le varie turbolenze mediterranee è il ruolo dell’Europa. Soprattutto l’Italia deve prendere seriamente in considerazione l’idea di promuovere una strategia europea per il Mediterraneo, pena ripercussioni gravi per la sicurezza del Paese. Non è affatto detto che la caduta degli attuali regimi, per quanto corrotti e autoritari, conduca ad una situazione di maggiore stabilità. Se si dovesse protrarre l’instabilità politica interna ai Paesi che abbiamo citato e la crisi economica, gli effetti si farebbero sentire nel breve periodo sotto forma di ingenti flussi migratori e nel medio periodo i gruppi islamisti ostili a tutto l’Occidente potrebbero aumentare la propria importanza. Per troppo tempo l’Europa è stata indecisa se sostenere la società civile nordafricana oppure le élites al potere, con il risultato che le politiche per il Mediterraneo non hanno condotto a nessun risultato concreto. Adesso è il momento che l’Ue si svegli dal proprio torpore e dimostri di non essere in coma. Si deve preparare una risposta ad una sfida importante che si protrarrà per anni e che si profila difficile perché in molti settori della popolazione nordafricana gli interventi europei spesso non sono ben visti, anche se non necessariamente respinti ed esclusi come quelli americani. è indispensabile entrare in dialogo con l’altra sponda del Mediterraneo, un dialogo serio, rigoroso, che abbia come fine chiaro quello di aumentare la reciproca fiducia. Non sarà facile, ma abolire i confini fra Germania e Francia dopo milioni di morti lo era?
Stefano Costalli