Costruire una nuova stagione economico-sociale
“Abitare una nuova stagione economico-sociale”, questo il messaggio dei Vescovi per il 1° Maggio in cui hanno voluto sottolineare l’importanza di costruire qualcosa di nuovo dalle ceneri della pandemia: un rinnovato stile di vita, andando oltre le vecchie certezze e superando il conflitto tra il “vecchio” e il “nuovo”, con “la capacità di uscire da se stessi per aprirsi all’altro”. La Cei indica la nuova via da intraprendere, ci chiama alla responsabilità di impegnarci per produrre un cambiamento fondato sulla generatività sociale: “L’insostenibilità dei ritmi di lavoro, l’inconciliabilità della vita professionale ed economica con quella personale, affettiva e famigliare, i costi psicologici e spirituali di una competizione che si basa sull’unico principio della performance, vanno contrastati nella prospettiva della generatività sociale”. Questo è il cuore del messaggio, un pensiero presente anche nel percorso preparatorio per la 49a Settimana Sociale che si terrà a Taranto.
La pandemia ha evidenziato tutti i limiti del nostro sistema economico e sociale, che si è rilevato per questo debole nell’affrontare la sfida della crisi generata dal Covid-19 e nel contenere i suoi danni. Una crisi che si è abbattuta su un mercato del lavoro già caratterizzato da forti diseguaglianze, allargando ancor di più il divario tra i lavoratori e tra generazioni. I lavoratori dei settori cosiddetti “essenziali” così come chi ha potuto lavorare da casa tramite lo smart working, ma questo ha riguardato solo alcune occupazioni impiegatizie e intellettuali, non sono stati penalizzati dalle misure adottate per il contenimento del contagio. Lo sono stati, invece, molto duramente i lavoratori dei servizi privati considerati “non essenziali” (turismo, cultura, pubblici esercizi, commercio al dettaglio, servizi alle persone). Drammatica, poi, la situazione venuta a crearsi per i disoccupati e i lavoratori irregolari perché al di fuori da qualunque possibile rete di protezione. Inoltre, ci sono state categorie più colpite delle altre, come i giovani e le donne che si sono ritrovati più esposti su molteplici fronti.
Soprattutto ai giovani, che sono stati i più penalizzati dalla crisi occupazionale, ora è necessario rivolgere grande attenzione se intendiamo pensare responsabilmente al futuro dell’Italia: dobbiamo garantire loro la possibilità di studiare, lavorare e progettare la vita.
L'emergenza sanitaria ha generato effetti devastanti sulla popolazione più fragile e non solo. La povertà è cresciuta sensibilmente andando a colpire fasce di popolazione sempre più ampie. Si tratta di “nuove povertà”, diverse da quelle del passato, che coinvolgono anche persone inserite all’interno di una stabile vita sociale e professionale e oggi, invece, si trovano in situazioni di precarietà e disoccupazione. La crescita della povertà va affrontata con politiche di sviluppo e strategie legate a riforme necessarie per il Paese: vanno riformati il lavoro, lo stato sociale, il sistema fiscale. Occorre intervenire subito all'insegna dell'equità, che è un valore fondamentale della Dottrina sociale della Chiesa. Le varie misure di sostegno messe in campo finora dal Governo sono state un aiuto, non certo la soluzione.
In una situazione già tanto complessa, nutriamo molta preoccupazione per quanto potrà accadere dopo la fine del blocco dei licenziamenti prevista per il mese di giugno. Per poter dare risposte, lenire, accompagnare quanti saranno purtroppo destinati a perdere il lavoro, siamo convinti che sarà necessario mettere mano con urgenza ad una riforma degli ammortizzatori sociali che preveda un netto adeguamento degli strumenti esistenti alle criticità prodotte dalla pandemia. Ma serviranno anche investimenti importanti in politiche attive del lavoro che siano in grado di rimettere in moto un circuito virtuoso di domanda e offerta, riattivando la produzione e rilanciando la competitività delle aziende, insieme ad un robusto programma di rilancio della formazione.
Non ci potrà mai essere società fondata sul bene comune senza che in essa ci siano giustizia sociale e lotta alla disuguaglianza. E proprio su questo la Cei ci incalza: “Siamo chiamati ad impegnarci per il bene comune” perché “esso è indissolubilmente legato con la salvezza, cioè il nostro stesso destino personale”.
Nel loro messaggio, i Vescovi hanno riposto grande speranza nell’importante ruolo del terzo settore, definendolo “Il ‘vaccino sociale’ della pandemia”. Infatti sono proprio i corpi sociali la prima antenna ricettiva dei bisogni dei cittadini, essenziali per ricostruire un tessuto di legami e connessioni tra reti di organizzazioni di società civile in grado di dare risposte ai bisogni prima che questi deflagrino in rabbia sociale incontrollabile, mostrando nei fatti quanto siano importanti valori come solidarietà e sussidiarietà.
Questo è il nostro compito di cattolici impegnati nel sociale e sul fronte del lavoro, soprattutto in un momento così difficile per la vita del Paese. Ma è anche quello di rilanciare la speranza nel futuro, ripartendo dalle parole di papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti: “il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo per guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere se stessi”. La pandemia ci ha permesso di sperimentare che siamo tutti legati e interdipendenti. Dobbiamo pensare, quindi, alle ragioni dell’economia ma sempre in una chiave che ponga al centro la persona nella sua interezza e in funzione di uno sviluppo che non perda mai i connotati “umani” e l’attenzione al “creato”.
Papa Francesco ha detto: “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi”. Adesso dobbiamo avere il coraggio di guidare una nuova stagione economico-sociale fondata sulla generatività e di guardare tutti insieme, uniti, con speranza al futuro dell’Italia.
Antonio Di Matteo
Presidente Movimento Cristiano Lavoratori