Sarà un Primo Maggio diverso, inedito, questo del 2020, una giornata di tristezza e speranza, che ci farà riflettere sul lavoro, sul suo valore, sulla necessità di tutelarlo e promuoverlo.
Non sarà contro qualcosa o qualcuno, non la marcia degli operai per l’una o per l’altra rivendicazione, non il proletariato contro la borghesia di una inattuale visione marxista. E’ anacronistico, almeno, contrapporre oggi il capitale al lavoro: anche gli ideologisti puri sanno che l’imprenditore e il dirigente lavorano, come lavora il dipendente “salariato” e nessuna azienda si può permettere più la divisione al suo interno.
Ci sarà l’appuntamento mediatico: la diretta televisiva sarà ricca di cantanti e artisti, ma li accoglierà la sobria cornice di un teatro vuoto che unirà il popolo dell’audience, mentre non è certo quale sia la parte che sindacalisti e politici riserveranno per sé. Cgil, Cisl e Uil, a causa del perdurare dell’emergenza epidemiologica Covid-19, hanno comunicato qualche giorno fa l’annullamento della manifestazione nazionale, che quest’anno era prevista per la prima volta nel mio Veneto, nella mia Padova, capitale Europea del Volontariato 2020
Il tema annunciato appare, tuttavia, pertinente al momento e ci auguriamo divenga lo spunto di una grossa riflessione: “Il lavoro in sicurezza: per costruire il futuro”.
La sicurezza nei luoghi di lavoro è tema attuale, anche a prescindere dalla pandemia: risale dall’ormai lontano 1994, la Legge 626 che fu una svolta sul tema della sicurezza sul lavoro. Gli studi di settore avevano individuato le problematiche dell’antincendio, dell’antismog, dell’antifumo, le procedure di evacuazione, la problematica sismica interessando fonderie, cantieri, lavoratori fino alla scuola ed agli uffici. Data l’anno 2009 l’entrata in vigore del testo unico 81/08 che ha dato completezza e organicità alla normativa.
Eppure gli infortuni sono continuati: l’ultimo rapporto INAIL parla di 1.218 casi di infortunio che hanno portato alla morte, e non occorreva il coronavirus perché ci pensassimo su, ma la pandemia ha cambiato del tutto la prospettiva.
Per la prima volta si assiste alla tragedia delle morti degli addetti alla sanità sul proprio luogo di lavoro: 150 medici, forse più, numerosi infermieri e operatori sanitari sono morti avendo contratto il virus dagli ammalati, che stavano curando. L’evento, tragico in sé, ha avuto risonanza nazionale per il lutto delle famiglie e ha fatto scrivere fiumi di inchieste, talora commossi, talora retorici, sul sacrificio dei camici bianchi che hanno combattuto contro il virus pagando il prezzo estremo.
L’analisi fredda della situazione conduce però altrove la riflessione perché gli addetti alla sanità sono essi stessi le persone deputate alla tutela della salute nell’ambiente di lavoro e, se sono proprio loro che devono essere tutelati per rischio mortale, è il quadro normativo stesso destinato ad essere rivoluzionato, e rovesciata la definizione stessa di infortunio sul lavoro oggi.
Questa riflessione ci dice, in termini quantitativi, quanto poco fossimo preparati ad affrontare questa emergenza. Le perdite in vite umane di medici ed infermieri, nel teatro di questa battaglia, sono gravi perdite che il nemico invisibile del coronavirus infligge sul campo, indebolendo le truppe che combattono. Reparti interi di nostri ospedali sono stati chiusi e nei casi più tragici, come nelle case di riposo, abbiamo saputo di vere e proprie ecatombi di personale e ricoverati. L’epidemia ci stava travolgendo, quando mentre rischiavamo la catastrofe per fortuna si è presentata un’alternativa. Per decisione governativa furono bloccate tutte le attività lavorative, un’intera economia è stata bloccata con la sola eccezione di “servizi essenziali” che non si sono neppure definiti chiaramente.
Tuttavia la diffusione del Covid-19 ha trovato una resistenza nella tecnologia del lavoro a distanza e dello smart working.
Il lavoro in modalità smart working consiste nell’intendere il lavoro subordinato senza vincoli orari o spaziali, alla lettera “lavoro agile”, e organizzato per fasi, cicli e obiettivi, con accordo sottoscritto tra dipendente e datore di lavoro.
E’ una modalità prevista dalla Legge 81/2017, ma finora aveva trovato applicazione un po’ marginale, una sperimentazione per venire incontro a esigenze personali e familiari lavorando da casa.
L’alt alla produzione sarebbe stato forse mortale per l’economia se non si fosse fatto ricorso, in modo superiore al previsto, a questo innovativo rapporto di lavoro che si è sviluppato con progressione geometrica.
Il primo campo d’azione è stato quello della formazione, in parte erogato da diverse imprese a distanza. L’intero percorso di formazione aziendale è stato trasformato con drastiche decisioni in teleformazione, abilitando in tempo reale la tracciabilità, condizione inderogabile per la garanzia del risultato, fino alla gestione dell’evoluzione digitale di tutti i processi formativi.
Protagonista di questa evoluzione è stata Fondimpresa, un fondo interprofessionale costituito da un’innovativa alleanza tra Confindustria e sindacati confederali.
Mentre tante attività si fermavano per disposizione di Legge, non si è fermata, ma anzi ha accelerato in determinati contesti, la filiera alimentare laddove talune aziende, in autonomia, hanno pensato di premiare l’impegno aumentato dei dipendenti con incremento della retribuzione, buoni spesa, ecc..
Sono necessari nuovi modelli di organizzazione del lavoro, si devono riscrivere le norme di tutela della salute, bisogna investire in infrastrutture tecnologiche e informatiche, va potenziato con la formazione il lavoro a distanza o telelavoro.
Covid-19 è stato uno stress-test che sta verificando quanto siano tecnologicamente avanzate le aziende per organizzare su nuove basi il lavoro. A fine 2019 praticavano lo smart working 600.000 lavoratori, ora sono più del doppio e quintuplicate sono risultate le ore di lavoro prestate. La controindicazione è che, se il lavoro da remoto funziona male, le imprese possono non farcela perché i lavoratori scontenti non produrranno e, demotivati, non contribuiranno all’aumento della produzione.
Certo, si può anche obiettare che quello attivato ora in certi casi non è il vero smart working, perché la legislazione ne è rigida, anziché incoraggiarlo lo penalizza, che l’attuale nozione di sicurezza sul lavoro è obsoleta, superata.
Quello che è chiaro è che non si tornerà indietro, che quando ci rialzeremo dalla pandemia subito la rivoluzione digitale andrà completata per non essere un’altra volta sorpresi, col concorso di tutti: operai, contadini, imprenditori, formatori, impiegati, accomunati tutti dalla stessa risorsa, il Lavoro, il cui fine è l’Uomo.
La classe politica non è stata pronta, si è sorpresa impreparata e vi sono stati ritardi ed errori e ha rincorso senza risolverla la questione Lavoro, che rimane ancora un’incognita, per una coalizione di governo priva di vision.
Dove occorre unità, concordia, concentrazione di energia, il fiato è sprecato in polemiche, strumentali propagande, sterili velleitarismi, rimpallo delle responsabilità.
E i sindacati non hanno ancora compreso, salvo isolate eccezioni, che il vento è cambiato e la situazione senza appello. Spesso rispondono con argomenti superati, slogan ripetuti a memoria, arrivando perfino a minacciare scioperi che si tradurrebbero in irrevocabili errori.
Basta pensare al minacciato sciopero delle pompe di benzina in autostrada o degli auto trasportatori, scongiurato all’ultimo secondo.
No, il Primo Maggio di quest’anno o sarà diverso o sarà una giornata persa.
Via gli slogan divisivi, via i velleitarismi, le ricerche dei nemici di classe!
Noi Movimento Cristiano Lavoratori guardiamo all’autorevole richiamo di Papa Francesco che avverte a gran voce che dalla tragica crisi o usciamo tutti insieme o non ne usciamo affatto, che l’economia dello scarto va rigettata, è nociva anche a quelli che l’hanno sostenuta.
Deve essere un Primo Maggio della consapevole Responsabilità, un nuovo inizio che apre gli spazi alle iniziative costruttive di donne e uomini di buona volontà.
Carlina Valle
Vicepresidente nazionale MCL