Il Terzo Settore riveste un ruolo strategico non solo durante l’emergenza COVID-19, ma pure nella ricostruzione del Paese, quando l'emergenza sarà superata. Questo ambito così importante sia nella vita sociale, che in quella economica e lavorativa del Paese - negli anni della crisi è stato l’unico comparto del Paese in grado di crescere costantemente in termini di occupazione - deve essere messo in grado di poter sfruttare tutto il suo potenziale.
È, innanzitutto, necessario un cambiamento culturale capace di superare sia lo statalismo imperante per il quale lo Stato, in tutte le sue articolazioni, è l’unico soggetto a cui compete la cura della casa comune, sia l'individualismo esasperato che fa dell’individuo - astratto soggetto privo di relazioni - il fulcro della vita economica, politica e sociale: sono due facce della stessa medaglia, due parti di uno stesso modello, un modello oggi messo in crisi dall'emergenza sanitaria.
Se da una parte lo Stato da solo basta, non è sufficiente perché non può rispondere alle esigenze, ai bisogni, ai problemi delle persone, dall'altra l'inganno dell'individualismo è stato smascherato dal dolore profondo delle relazioni negate dalla quarantena. Entrambe queste esperienze, che ciascuno di noi sta vivendo, mostrano sia l’inadeguatezza di questo sistema ideologico che la sua sfrontatezza quando, nella farraginosità di certi provvedimenti, tende a perpetuarsi. Per questo occorre una battaglia culturale che ponga al centro la sussidiarietà e la solidarietà, che ponga al centro l’esperienza organizzata di persone che si prendono cura del bene comune. Non è un concetto astratto, ma la realtà che viviamo fatta di tante opere - come quelle che si fanno carico delle fragilità - che sono la spina dorsale del nostro Paese e che stanno permettendo al nostro Paese di resistere.
Un cambiamento culturale che implica, pure, un diverso sguardo su come coinvolgere, sia nell'emergenza sia in quella che sarà una vera e propria ricostruzione nazionale, tutte le forze della società che possono concorrere al bene comune. Per farlo è necessario ripartire dalle esperienze di successo di questi ultimi anni, come il Servizio Civile, un “esercito” di volontari che ha già dato prova di quanto bene può fare alla società, e che potrebbe farne molto di più in un frangente in cui le fragilità sono state aggravate dal peso della malattia o della solitudine. Tornare ad investire su questo strumento sarebbe tornare ad investire su qualcosa che, in tanti anni e attraverso molteplici esperienze, ha già dimostrato la sua efficacia.
Un altro punto fondamentale è l’erogazione dei fondi del cinque per mille del 2017 e 2018 - strumento al quale occorrerebbe dare stabilità - per una cifra pari a circa un miliardo di euro. In questo caso si tratta di fondi già messi a bilancio e che un DPCM, pronto da tempo, potrebbe sbloccare in tempi brevi. Questo sarebbe un segnale importante perché permetterebbe di dare risorse significative per sostenere e rafforzare le attività e le opere di quella società civile che si fa carico del bene comune, risorse, peraltro, dovute. Allo stesso tempo sarebbe un segnale importante per rimettere al centro la persona con le sue relazioni, per far sentire di nuovo ciascuno di noi protagonista, perché il cinque per mille è frutto della libera scelta delle persone di contribuire alle opere e agli enti sentiti più vicini.
In questo momento così drammatico, però, le risorse da sole non possono bastare, perché non è possibile iniziare una ricostruzione imponente come quella che ci aspetta senza dare un percorso certo, senza una strategia, una strategia che non sia calata dall'alto, ma da scrivere insieme. Ne abbiamo le forze, ne abbiamo la volontà, ne abbiamo la capacità, perché il nostro è veramente un grande Paese, certamente più grande di quanto creda, come sta dando prova in questi giorni.
Giovanni Gut
Vicepresidente nazionale MCL