Il Next Generation Eu - così è definito il Recovery Fund per la ripresa dell’Europa devastata dal covid 19 - esprime già nelle nuove parole usate, lo sforzo di guardare più lontano ed assicurare un futuro alla costruzione europea per affidarla, rafforzata, alle generazioni successive.
Il linguaggio, quando adoperato con intelligente intenzione, rappresenta e spiega compiutamente la realtà. La “Ricostruzione” (Recovery) dalla quale si era partiti è concetto importante soprattutto a fronte di una condizione difficile che ha provocato già molte rovine in Europa e altrettante ne annuncia. Il cambio semantico con l’obbiettivo di un intervento per la “Prossima Generazione” (Next Generation) evidenza la novità della “solidarietà” ed è, quindi, espressione più adeguata.
Quest’ultima idea ha trovato, finalmente, la strada per proporsi e giustificare un impegno complessivo che riverserà sui Paesi più colpiti risorse che saranno raccolte anche dai Paesi meno in difficoltà. E’ la modalità con la quale si è costruito, per ora solo da parte della Commissione Europea, il progetto per gli interventi con i quali percorrere la via del risanamento solidale.
Innanzitutto, dobbiamo indicare i protagonisti di questa importante svolta della politica europea. Nel rapporto tra il presidente francese e la cancelliera tedesca, decisiva è stata l’iniziativa di Angela Merkel di agganciare la proposta francese e di iniziare una via di mediazione con i Paesi “rigoristi” del nord Europa. C’era da aspettarsi una scelta di questo tipo anche quando sembrava che la Germania fosse schierata sul fronte dei Paesi meno attenti agli aspetti solidaristici. Il popolarismo europeo del resto è concettualmente e nelle formulazioni operative sulla linea della economia sociale di mercato con le sue robuste radici nella dottrina sociale ispirata dal cristianesimo, senza eccessive logiche neoliberiste. In questa direzione si era espresso il 21 maggio, anche a nome dei deputati del Partito Popolare, Alfred Weber definendosi “pronti ad offrire solidarietà” e indicando la direzione propria del progetto per “dare alle nuove generazioni un futuro”, non potendo “permettersi un’altra generazione perduta com’è successo dieci anni fa’”.
E’ grande merito della presidente della commissione Ursula von der Leyen, in particolare, essersi assunta la responsabilità di predisporre un progetto concreto, aperto, ma ben configurato in senso di condivisione, soprattutto se verrà confermato che sarà la Commissione direttamente a finanziarsi sui mercati per una quantità per due terzi (500 miliardi) a fondo perduto e per un terzo (250 miliardi) in prestito. I tempi di ripiano dovrebbero tener conto delle difficoltà dei Paesi più indebitati e le ripartizioni si riferiranno al grado di compromissione economica delle singole realtà nazionali. In primis quelle dell’Italia.
La strada, tuttavia, non è breve, né agevole. Il progetto dovrà trovare conferma con una decisione unanime da parte del Consiglio europeo e poi del Parlamento di Bruxelles. Intanto è riemersa quella convinzione che aveva unito le nazioni già tanti anni fa, e cioè che una costruzione politica tanto più è forte quanto più è solidale. Lo ha detto anche l’autorevole Armin Laschet, ministro presidente del Nord-Reno-Vestfalia, candidato alla presidenza della CDU: “c’è bisogno di una grande soluzione europea solidale attraverso il bilancio dell’Unione”.
Resta un problema importante, assai delicato che costituirà la base del confronto più aspro, quello forse decisivo.
Esso riguarda le condizionalità. Uno spazio che non si può pretendere di escludere in quanto contropartita della ampia manovra con finalità solidali contenuta nel bilancio europeo.
I primi segnali indicano che le direttrici sulle quali si costruiranno le condizionalità consisteranno nell’obbligatorietà di affrontare i temi delle riforme per migliorare il rendimento, l’efficacia delle istituzioni e la semplificazione procedurale; dell’ambiente per avviare quell’Europa verde che orienta contenuti e obbiettivi dei piani di investimento europei e dello sviluppo della informatizzazione dei procedimenti amministrativi e di parte delle metodologie di lavoro, compreso il sostegno alle start up e ai sistemi di information tecnology. Comunque tali macro obbiettivi sono già presenti nell’agenda dei singoli Stati e la maggior parte delle forze politiche europee ne hanno fatto oggetto dei loro stessi programmi elettorali nelle ultime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. E’ un orizzonte importante che deve caratterizzare quei programmi innovativi che tendono a creare una convergenza tra le nazioni europee e che, in ultima analisi, significano costruire, anche nella sostanza, una Europa federale.
Tuttavia il problema più complesso è un altro ed è di carattere squisitamente politico.
Riguarda, nello specifico, i contenuti particolari dei programmi e dei piani di intervento dei singoli Paesi nella elaborazione dei progetti per sostenere i settori produttivi più dinamici nelle loro esigenze strutturali e funzionali, nella eliminazione dei pesi che ne condizionano la piena espressione per la ripresa economica dei singoli Stati. E’ questione di strategie, che debbono tener conto ed essere ritagliate sulle peculiarità e le esigenze dei singoli Stati.
In sostanza, nella discussione e nella elaborazione delle condizionalità, entra in gioco il rapporto tra l’Europa e l’ambito nazionale. Il problema sarà quello di trovare un equilibrio tra le indicazioni di Bruxelles e l’esigenza di mantenere uno spazio politico nazionale nell’individuare quelle che potrebbero definirsi, approssimativamente, le priorità e/o necessità di intervento, poiché sarebbe un errore pensare che ogni Paese debba seguire le stesse ricette e scelte economiche pur in presenza di modelli e territori, condizioni strutturali e di sviluppo differenti. Oltre ad una sua struttura imprenditoriale in grado di competere con le sfide dei mercati anche nella grande e media manifattura, l’Italia possiede una sua specificità frutto della sua evoluzione storica, dell’esistenza di un territorio con insediamenti e filiere imprenditoriali che esprimono un pluralismo che si evidenzia innanzitutto nella dimensione e qualità aziendale, nello spazio delle produzioni legate alle lavorazioni tradizionali. Ciò vale anche per l’industria turistica che si estende in un territorio ricco e vario sotto il profilo naturalistico e di giacimenti culturali e storici diffusi. C’è una biodiversità nell’economia e nella finanza di prossimità, nel fattore umano e nel pluralismo sociale e territoriale. Un tessuto economico da sostenere, qualificare e liberare. Strutture educative e formative da adeguare, corpi intermedi da coinvolgere. Occorrerà tenerne conto anche negli investimenti infrastrutturali per connettere tutto ciò con il Continente, realizzando e completando le reti. La salvaguardia di tali elementi va tenuta presente, mentre essa non viene considerata dalla spinta uniformatrice esercitata dai mercati finanziari o da una globalizzazione mal gestita. Si dovrà chiedere all’Europa di tener conto di tutto ciò e di garantire lo spazio politico per difenderlo e valorizzarlo.
Subentra un problema di classi politiche, di rappresentanza e di capacità di governo al momento inadeguata. Più forte sarà la consapevolezza di tali compiti e maggiore sarà la possibilità di dimostrare in sede europea che la particolarità italiana non consiste nel difendere aree e procedure parassitarie, ma, piuttosto, in un patrimonio di economia reale per un rafforzamento dell’Europa, non solo in termini produttivi, ma anche culturali.
La circostanza della crisi e l’opportunità che si apre in Europa deve trovare l’Italia preparata a svolgere il suo complesso compito di modernizzazione e di salvaguardia, di pluralismo e di libertà.
Pietro Giubilo
Vicepresidente Fondazione Italiana Europa Popolare