A ciascuno il suo. Allo Stato la resistenza. Al popolo la resilienza. In questi giorni complicatissimi di quarantena e in attesa del crollo della curva dei contagi sino alla soglia di salvaguardia sanitaria, si prova a riflettere sul futuro, partendo dall’analisi della realtà.
Lo Stato, innanzitutto. Nell’età dell’interdipendenza e della globalizzazione (anche quella che ci porta i virus e non solo beni e transazioni finanziarie) lo Stato ha mostrato di essere necessario. Senza… non potremmo vivere. La responsabile azione di governo per frenare anche con misure draconiane il contagio, l’intervento finanziario a favore di tutti i cittadini e in particolare dei più fragili, l’aiuto da mettere in campo per salvare e rilanciare il lavoro e le imprese, la garanzia dei servizi essenziali a partire dalla sanità, il corretto funzionamento di tutte le reti fondamentali (energia, acqua, gas…), la prosecuzione della vita scolastica sia pure nella forma dell’insegnamento a distanza, l’attivazione dello smart working in tutti i settori in cui è stato possibile garantirlo, l’attenzione alla tenuta dell’ordine pubblico grazie alle forze di Polizia, il contributo delle Forze armate alla vita civile, l’approvvigionamento diffuso di alimenti… Ebbene, tutto questo ha funzionato e sta funzionando proprio grazie allo Stato. L’affermazione fatta dal premier Giuseppe Conte a più riprese, “lo Stato c’è”, non può e non deve essere solo uno slogan. E sino a quando lo Stato saprà resistere nella sua integrità e unità, grazie anche all’azione e al sacrificio di milioni di italiani, per tutti noi ci sarà la possibilità di costruire un futuro e un rientro ordinato nella quotidianità.
Dunque, possiamo dire che lo Stato sembra avere i nervi saldi. Certo, la dilatazione a dismisura della decretazione in capo alla presidenza del Consiglio dovrà trovare in un tempo ragionevole una limitazione, così come tutte le altre componenti istituzionali dovranno garantire la tenuta democratica. Di sicuro lo sta facendo il Capo dello Stato con la sua innata sobrietà, ma anche con la sua sapiente interlocuzione in sede europea e internazionale. Meglio, forse, deve comportarsi il Parlamento che finalmente è tornato a riunirsi ed è chiamato a una intelligente cooperazione e a una generosa corresponsabilità.
Ma poi ci siamo anche tutti noi, italiani, che stiamo vivendo questo tempo con una insospettabile capacità di resilienza, non come forma di semplice adattamento alla situazione nuova indotta dalla pandemia, ma come capacità di fare la nostra parte. E per un popolo descritto con faciloneria e leggerezza talvolta insopportabili, questa stagione è una sorta di prova di maturità. No, noi non siamo (o almeno non lo siamo più) quelli degli spaghetti, del mandolino e della mafia! E’ triste vedere scorrere il video del quotidiano tedesco Bild che vorrebbe incoraggiare l’Italia nella lotta al coronavirus, mentre ripropone una serie di stereotipi che provocano solo noia e disappunto.
Noi, è bene ricordarlo innanzitutto a noi stessi, siamo quelli che hanno costruito un Paese democratico dopo gli anni bui del fascismo. Lo hanno fatto i nostri genitori che hanno passato a noi il testimone, come noi lo consegniamo ai nostri figli. E poi toccherà alle generazioni future. Alla generazione dei babyboomer va forse il merito di aver ulteriormente consolidato la democrazia e di aver costruito una straordinaria forma di socialità. Abbiamo contribuito a rivitalizzare tutti i corpi intermedi, il cui radicamento nei territori, insieme con la capacità di costruire coesione sociale, stanno tenendo insieme il Paese. Quei corpi intermedi, di ogni ispirazione, che hanno animato lo “spiritus loci”, cioè quella straordinaria capacità che abbiamo noi italiani di trasformare il piccolo in bello e di farlo crescere. Di collegare la provincia con il centro e con il mondo (il cosiddetto glocalismo). Di assecondare la nascita dei distretti industriali nelle province d’Italia (dalla ceramica di Sassuolo ai divani di Puglia, giusto per citarne due) che hanno costruito il modello delle piccole e medie imprese, capaci di imporsi anche sui mercati internazionali e di produrre valore aggiunto per il Paese. Di esprimere rappresentanza sociale, culturale, religiosa e amministrativa.
Un mondo questo, come propone il professor Stefano Zamagni, che proprio oggi (mentre il ciclone coronavirus imperversa) dovrebbe essere maggiormente coinvolto nella governance del Paese. E’ questo il momento giusto perché l’interlocuzione con i territori e il terzo settore registri quel salto di qualità che appare indispensabile, proprio per la tenuta e la coesione sociale. Un esempio per tutti: di fronte alla necessità di raggiungere i poveri e le nuove aree del bisogno che stanno crescendo a causa della stasi economica, chi meglio dei corpi intermedi può fungere da allocatore diretto di risorse sul territorio? Certo, occorre fiducia reciproca e imboccare definitivamente la strada della sussidiarietà (articolo 2 della Costituzione). Ci chiediamo: ce la farebbe lo Stato a resistere se i corpi intermedi, compreso il Movimento Cristiano Lavoratori, non mettessero in campo tutte le energie disponibili per far incontrare la domanda di servizi con la risposta pubblica? Mettendoci, peraltro, del proprio? Sinceramente ne dubitiamo.
Allora, coraggio. Lo Stato che sa resistere, sappia valorizzare la società civile che alimenta e sostiene la resilienza di persone, famiglie, comunità e territori.
Domenico Delle Foglie