Ciascuno di noi ricorda esattamente cosa stesse facendo in quel momento, quello in cui le immagini dell'impensabile squarciarono ogni ordinarietà, diventando la “notizia unica”. Attaccate dal terrorismo fanatico con un atto di guerra asimmetrica, le Torri gemelle di New York cadevano giù; e noi ricordiamo esattamente in quale feriale occupazione ci raggiunse l'evento (che esista o meno il fenomeno della flashshbulb memory). In quell'11 settembre, che divenne l'11 settembre per antomasia. Diciannove anni fa come oggi. Da allora, nulla fu più come prima. Finiva davvero un secolo e ne iniziava un altro. Un balzo d'epoca, in quella dell'insicurezza (e dell'isterica ricerca, populista o libertina, di porvi un rimedio meccanico... a qualunque costo).
Certo “Todo Cambia”, cantava la Mercedes Sosa amata anche da papa Francesco, ma quel giorno a cambiare fu davvero tutto. Dovemmo tutti guardare in faccia l'abisso (e l'abisso fissò noi). La circostanza costrinse a interrogarci, a prendere atto della precarietà di quanto avevamo ritenuto inscalfibile: una certa idea della globalizzazione. Con le sue conquiste (indubbie), ma anche i suoi discutibili miti relativisti o mercantili (poco indagati nel clima di sacralizzazione dell'opulenza).
Si dovette, allora, fare i conti con il contraccolpo dell'identità.
Riflettere in quest'anniversario, che ci coglie alle prese con un altro snodo epocale, di fronte a una minaccia globale d'altra provenienza, che significato può avere?
In un fatto di cronaca, in questo star di fronte alle dolorose doglie di questo lungo “cambio d'epoca”, che hanno implicato anche una lunga crisi economica, troviamo una “sintesi” che ha un valore simbolico. La notizia è dello scorso luglio. L'ingegnere elettrico newyorkese Stephen Cooper, l'uomo che venne immortalato in una delle foto simbolo del dramma - in fuga, mentre a un isolato di distanza collassava la torre sud - è morto a 78 anni, nella Florida in cui si era trasferito, a causa del Covid. Un altro salto, ci pare: a tema non è più solo l'identità (declinata come scontro o come relazione), ma la stessa condizione umana. A tutti si manifesta la fragilità del nostro essere, non solo dell'avere nostro.
Si torna a parlare di sicurezza (anche a scapito della libertà), ma la domanda è quella di una certezza che non si consumi. La necessità di un “pensiero forte” (che non significa rigidità) che possa indicare un orizzonte di speranza.
“Ormai solo un Dio ci può salvare”, rispose Heidegger a una domanda di due nient'affatto ben disposti inviati dello Spiegel sull’inevitabile declino del pensiero umanistico occidentale, prevaricato dalla tecnica e dall’economicismo. Chi può togliere l'indeterminativo e dare un volto a quel Dio dovrebbe sentire forte il compito di “portare in campo il senso”.
Marco Margrita
Presidente regionale Mcl Piemonte