Il giorno dopo la tornata amministrativa, la geografia politica italiana deve fare i conti con quattro macro aree ideali. Il centrodestra a trazione sovranista fa quasi il pieno. Il populismo a dimensione digitale è fortemente ridimensionato nelle sue velleità. Il centrosinistra esce con le ossa rotte soprattutto nelle zone tradizionalmente “rosse”. Il versante riformista e popolare non risulta pervenuto, salvo forse la risurrezione a Imperia dell’ex ministro forzista Claudio Scajola, con un programma dichiaratamente europeista e anti-populista.
La conferma venuta dalle urne di uno sfondamento del sovranismo nel sentimento prevalente del Paese non è solo il frutto delle battaglie identitarie e nazionaliste di Matteo Salvini. Da un lato è il segno della debolezza dell’alleato di governo (5Stelle) che prima o poi dovrà fare i conti con i suoi limiti amministrativi, dall’altro è il segno della potenza attrattiva dell’unico partito “solido” rimasto in campo, appunto la Lega, ora con rinnovate e più fondate ambizioni nazionali.
Il paradosso è del tutto evidente: il partito “solido” si conferma un’alternativa credibile a tutte le forme-partito che si sono fatte avanti negli ultimi venticinque anni. La crisi del partito “leggero” e d’opinione per eccellenza, Forza Italia, è sotto gli occhi di tutti. E non solo per la senescenza di Silvio Berlusconi, ma per la dissolvenza del suo meccanismo comunicativo. Per essere chiari: la forza della comunicazione televisiva non basta più per modellare il pensiero collettivo.
Dall’altro lato il Pd, con il voto del 24 giugno viene sfrattato dal suo nucleo storico, la Toscana, zona “rossa” per eccellenza. Nessuno può trascurare questo crollo che vede il centrodestra avanzare con la Lega in testa. Del resto il Pd sembra sfarinato proprio sotto il profilo identitario. Non più referente di una sinistra ideale, non più rappresentante dei ceti deboli, non più radicato in aree storiche.
Infine il movimento digitale (5Stelle) segna una battuta d’arresto che è solo la conferma puntuale di quello che sapevamo: capacità di motivare un voto d’opinione (spesso rancoroso e rivendicativo) negli appuntamenti nazionali, incapacità di insediarsi nei territori a causa di una insostenibile leggerezza delle proprie rappresentanze locali. Parlare infatti di classi dirigenti grilline è un ossimoro.
Detto questo, va riconosciuto che tutti o quasi lavorano per Salvini e per il suo progetto egemonico sul governo prima, sul centrodestra poi e sul Paese intero infine. Ma va ricordato che la Lega è il partito più longevo della Seconda o Terza Repubblica che sia. E soprattutto è il partito “solido” che ha classi dirigenti collaudate da lunghe e fortunate gestioni amministrative, che ha formidabili e duraturi insediamenti territoriali nel Nord, che ha un vero popolo di militanti. A questo riguardo lo sanno tutti che nei territori italiani, e in particolare nella provincia profonda italiana (soprattutto al Nord e al Centro), per strada e nelle piazze, nei bar e nei circoli ci sono soltanto i leghisti. Di piddini, forzisti e grillini nemmeno l’ombra. Se questi ultimi hanno l’alibi della militanza nella Rete, per gli altri non ci sono scusanti.
Tutto questo Matteo Salvini lo ha capito benissimo e per il suo partito “solido” ha trovato una nuova miscela vincente.
Primo: costruzione di un nuovo immaginario collettivo. Cosa di meglio che parlare alla pancia degli italiani? Il suo “prima gli italiani”, sulle orme di Donald Trump, è un autentico capolavoro politico oltre che propagandistico. Complici, peraltro, la presenza degli immigrati percepita come invasiva, le paure sociali striscianti e la domanda di sicurezza.
Secondo: rafforzamento del partito monolitico, qual è la Lega, in cui non esiste una minoranza e si procede compatti come una testuggine, senza mai offrire spiragli nei quali possa crescere una qualche forma di dissenso interno.
Terzo: presenza martellante non nei territori, ma sui territori. Con una presenza stabile fra la gente, nelle piazze, nei mercati, nei consigli comunali. E dove non ci sono leghisti, accorre il “capo” in persona. Non è un caso che sia l’unico leader politico in attività che ami circondarsi sempre dalla gente, che affronti anche le contestazioni, che vada regolarmente nelle zone presumibilmente a lui avverse, che anche da ministro dell’Interno non smetta un giorno di parlare ai suoi per parlare a tutti.
Quarto: l’occupazione manu militari della Rete, che neppure Grillo e tanto meno Di Maio e Di Battista. Gli altri leader di partito non sono pervenuti. Non è un caso che Salvini, stando alle ultime rilevazioni, sia il politico con il maggior numero di contatti in Facebook, addirittura 2milioni e 750mila. Primo assoluto in Italia, ma primo per popolarità anche fra i leader europei, inseguito nella Rete anche da Merkel e Macron. Di lui vogliono sapere tutto, amori compresi. E lui si concede anche con le dirette Facebook, con le quali ha accompagnato l’intera campagna elettorale, poi la lunga fase di costruzione del governo, quindi la crisi dei migranti e infine la sua vita privata (tra figli e fidanzata).
In conclusione: la Lega è l’unico partito “solido” che occupa la scena politica e forse non è un caso che abbia il vento in poppa. Dispone di tutti gli ingredienti necessari: un messaggio semplice e chiaro, un leader vitalista e prepotente, una base attiva e perennemente in mobilitazione, una classe dirigente consolidata, una presenza asfissiante nella Rete. Un mix di passato e futuro che dice molto a tutti gli altri partiti, movimenti e forze emergenti.
Forse dice molto di più ai riformisti e popolari, ma questo è il tema della prossima puntata.
Domenico Delle Foglie