Recupero dell’identità, ricerca di nuovi equilibri e di nuovi modelli di sviluppo basati sulla sostenibilità economica e sociale. C’è un’Italia non rassegnata, che non si chiude a guscio per rispondere a quelle che vede come aggressioni esterne (globalizzazione, immigrazione e disuguaglianze), ma tenta di rispondere alle sfide e alle trasformazioni che la modernità impone. Più che la contrapposizione tra popolo ed élite, il rapporto Ipsos-Flair, presentato recentemente, usa la dicotomia tra “comunitari e cosmopoliti” per evidenziare le nuove fratture della società. Ma dalla ricerca emerge un concetto un po’ distorto di comunità: non il luogo in cui dono e solidarietà sono orientati al bene comune, bensì il porto protetto in cui la solitudine e l’individualismo impediscono di essere davvero una comunità.
Nel 2018 l’ottimismo è tornato lentamente ad aumentare, tuttavia le priorità politiche restano, in 3 casi su 4, il lavoro e la crescita economica, seguite dalla protezione sociale (40%), dall’immigrazione (34%, ma appena 12% nel locale), dal funzionamento delle istituzioni inteso come snellimento della burocrazia e fine dei privilegi (33%). C’è comunque uno scarto tra l’Italia reale e quella percepita, con l’informazione che è ormai senza filtri e spesso costruita dalle fonti algoritmiche, quindi su misura. Portando spesso alla scomparsa dei fatti. È in sostanza l’immagine di un Paese nel guado, diviso tra la tentazione di chiusura e difesa, unita a una certa nostalgia del passato, e la consapevolezza che i cambiamenti non possono essere arrestati. Ma in questa sorta di sfiducia nel vecchio e scetticismo nel nuovo, (politica in primis), c’è un Paese vitale di cui non si parla, ecco perché forse bisognerebbe riscoprire la dimensione identità, perché citando La Pira: “il guscio ci difende ma è la spina dorsale identitaria che ci consente di poter essere comunità aperte allo scambio e al futuro”.
Forse però le fratture non sono causate solo dalle disuguaglianze economiche, ma anche dalla percezione degli individui o di gruppi sociali, di non essere “riconosciuti” (i gruppi sociali, i corpi intermedi, addirittura ostacolati). Ecco perché, davanti ad una politica non all’altezza e a capitani di ventura improvvisati, è il concetto di sostenibilità emerso dall’analisi che può diventare la chiave per ripartire con un messaggio politico nuovo. Il rapporto dimostra che l’Italia sta reagendo con difficoltà per rispondere alla globalizzazione sbagliata che sta mettendo in crisi il nostro sistema.
Il quadro in cui ci si muove, comunque, è quello di un’opinione pubblica estremamente frammentata come ad esempio sul tema delle migrazioni dove la solidarietà convive con i timori, l’accoglienza con l’ostilità.
E di una politica economica sbagliata, in cui è stato fatto, anche per diversi errori di Bruxelles, ma non solo, il contrario di ciò che andava messo in atto, visto che la globalizzazione è stata pensata a favore di qualcuno e contro altri, almeno questa è la percezione che ormai hanno in molti.
E qui sta la necessità di recuperare una visione europeista, di un’Europa che non sia solo economia e finanza ma recuperi identità, radici, voglia di lavoro e voglia di futuro.
Un’Europa che promuova “una concezione della cosa pubblica sussidiaria, capace di valorizzare il protagonismo della persona e il suo potenziamento attraverso le associazioni e gli altri corpi intermedi; una politica che metta al centro il lavoro e il suo significato, con investimenti speciali per i giovani” e che garantisca “una ripresa del ruolo centrale dell’Europa nel mondo, attraverso una politica estera e di difesa comune”: questo è uno stralcio dell’appello lanciato alle forze politiche in vista delle elezioni europee con il manifesto “Sì all’Europa per farla”. Un documento firmato nel mese di novembre insieme ad altri esponenti del mondo cattolico per ribadire il nostro Sì all’Europa, nella consapevolezza che si deve continuare a farla e farla meglio.
Carlo Costalli
Presidente Movimento Cristiano Lavoratori