Gli anni che stiamo vivendo sono accompagnati da una rivoluzione sociale ed insieme culturale. Il progressivo e inarrestabile affermarsi della tecnologia digitale ha profondamente modificato abitudini, ritmi e riti della vita di tutti noi. Anche l’accesso alla realtà e l’iterazione con essa è sempre di più on line. Le relazioni interpersonali sono diventate meno rilevanti e meno quotidiane di quelle digitali. I media di oggi hanno avvicinato luoghi, disegnando nuove geografie e creando interazioni impensabili: lo spazio ed il tempo digitale, infatti, hanno un’estensione e una durata del tutto diverse dalla realtà. Tutto è diventato più vicino, possibile, veloce.
La pandemia da Covid-19 ha accelerato ulteriormente questo processo in atto e ci ha fatto vivere nuove dimensioni e nuove esperienze: scuola e didattica a distanza, lavoro agile e video chiamate con gli amici. La tecnologia digitale si è rivelata dunque uno strumento decisivo per “sopravvivere” all’isolamento forzato, accreditandosi ancora di più come indispensabile nostra alleata.
Un mondo perfetto?
A seguire il fenomeno e la cronaca con attenzione, questa idea di progresso senza incrinature mostra anche altri lati. Sono nati problemi legati all’accesso alla tecnologia marcando ulteriori disuguaglianze sul nostro stesso territorio nazionale; lo smart working ha complicato non poco la vita delle famiglie con figli in età scolare, ha richiesto una disciplina difficile per evitare che le ore di lavoro dilagassero in un tempo indefinito, ha mostrato di essere inapplicabile per le attività che non fossero di ufficio. Accanto alle nuove questioni sono rimaste aperte quelle vecchie e insidiose: cyberbullismo, violazione della privacy, adescamento on line, pedofilia e siti che ospitano e rilanciano scene di una violenza inaudita e gratuita, vendite illegali, truffe, fake news.
Certo tutte queste emergenze che il nuovo panorama comunicativo porta con sé, non scalfiscono la portata della rivoluzione in atto e la sua rilevanza sociale, antropologica ed economica. O forse non c’è nulla di nuovo sotto il sole, semplicemente portato all’ennesima potenza dalla raffinata e poliedrica tecnologia di cui oggi dispone l’essere umano.
Qui forse sta il punto decisivo: chi deve servire questa tecnologia? I grandi potentati finanziari, le lobby di varie ideologie, gli interessi politici?
Come Aiart fin dal 1953, accompagnando lo sviluppo delle tecnologie comunicative, abbiamo cercato in ogni modo di dare il nostro contributo, anche in solitaria, perché la tecnologia comunicativa si ponesse al servizio dell’uomo e della società nel suo insieme, ne sostenesse il cammino di sviluppo in tutte le sue dimensioni, dentro un nuovo modo di vivere la cittadinanza. C’è infatti un grande valore umano nella evoluzione/rivoluzione digitale e sentiamo la responsabilità di promuovere una cultura personale e sociale in grado di fare dell’ambiente digitale un mondo abitabile da tutti, capace di contribuire a sviluppare la convivenza civile basata sul rispetto della dignità umana con la sua promozione ad ogni livello: una autentica ecologia capace di porsi al servizio del vero, del bello, del giusto e del bene.
Sta nelle nostre mani, nella nostra intelligenza e volontà far crescere una corresponsabilità sociale fatta di percorsi educativi, di formazione capaci di risvegliare il ruolo fondamentale della famiglia e della scuola nell’introdurre le nuove generazioni nel mondo digitale. Ma questo non basta: accanto occorre un’azione volta a far sì che le norme fissate nelle leggi dalle varie autorità (Agcom, CNU, Corecom regionali, Comitato media e minori) e dai diversi Garanti (dell’infanzia e della privacy in primis) siano applicate per segnare quei limiti necessari alla convivenza civile e democratica.
Ed infine sarebbe logico attendersi che anche l’industria culturale uscisse allo scoperto e oltre alle logiche commerciali sentisse di far parte, come tutti, del tessuto sociale e di contribuire in modo rilevante al suo sviluppo culturale o al suo degrado ed accogliesse volentieri l’appello a condividere la corresponsabilità sociale, fatta di tutte quelle attenzioni che contribuiscono all’autentico progresso e sanno disegnare un futuro libero da stereotipi, inganni, mistificazioni e violenze di ogni genere.
Aiart continuerà a svolgere il suo compito per costruire un coro a cui unire la propria voce.
Giovanni Baggio
Presidente nazionale Aiart