È stato presentato alla Camera dei deputati il testo unico contro l’omotransfobia (ddl Zan), che verrà a breve portato in Aula per la discussione. Sul tema la Presidenza della Cei ha espresso, in una nota, "preoccupazione" per un intervento legislativo che appare superfluo, non essendoci alcun vuoto normativo in materia né "lacune che giustifichino l'urgenza di nuove disposizioni", e che potrebbe aprire a "derive liberticide" sanzionando "l'espressione di una legittima opinione".
In effetti bisogna subito svelare l'ambiguità dell'uso che si fa della parola "omofobia", che va dall'avversione aggressiva e ingiustificata verso omosessuali in quanto tali, fino alla mera contrarietà all’omosessualità come modello affettivo-sessuale.
La nostra Carta costituzionale recepisce la cultura dell’eguaglianza e stabilisce la pari dignità sociale e il divieto di discriminazione fondata su condizioni personali. Peraltro sono principi introdotti nella nostra Costituzione da una cultura soprattutto cristiana, essendo stati scritti quegli articoli, in particolare il 2 e il 3, proprio da Costituenti con forti radici nell’associazionismo cattolico. Di conseguenza, tutto l’ordinamento italiano e, in particolare, il diritto penale, contiene norme a salvaguardia della dignità e della libertà e punisce severamente chiunque vi provochi lesioni. E il diritto penale, in questi casi, punisce doverosamente e a prescindere da qualunque valutazione sulle condizioni o sugli orientamenti culturali di tali persone. Un’avversione verso altri esseri umani, allora, ove possa conculcare dignità e libertà di persone in forza del loro orientamento sessuale è già legislativamente repressa. Altro è, invece, ritenere che chi dovesse rifiutare il modello culturale di un’affettività tra due persone dello stesso sesso, vada automaticamente tacciato quale “omofobo”.
Ora il ddl Zan punisce con la reclusione fino ad un anno e sei mesi chi “istiga a commettere o commette atti di discriminazione… fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”. Attenzione: non si tratta di punire atti di violenza o di aggressione - già ovviamente sanzionati dal codice penale - ma di reprimere con il carcere chi “distingue” le persone sulla base del loro orientamento sessuale. Tale distinzione, ad oggi, non può essere operata sulla base di “motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”; ora, aggiungere l’orientamento sessuale significa che qualunque valutazione soggettiva verso tali persone potrà essere potenzialmente letta come “discriminazione”. Inoltre, il concetto di “istigazione” a commettere “atti di discriminazione” è particolarmente scivoloso, non potendosi escludere che anche la promozione di valori e modelli eterosessuali con il rifiuto di quelli omosessuali, da taluno possa ritenersi indirettamente una forma istigatoria. Che la norma sull’istigazione omofobica porti con sé tali rischi, lo dimostra il fatto che già nella scorsa legislatura il Pd sentì l’esigenza di attenuare tale previsione inserendo un emendamento (a firma dei deputati Verini e Gitti) in cui si affermava espressamente che i reati puniti come atti di omofobia non possono "allargarsi" alle opinioni e alle condotte che fanno leva sulla differenziazione sessuale.
Ora tale specificazione, nel testo Zan, non c’è più.
L’impostazione della proposta di legge è, dunque, insidiosa: a differenza di tutte le altre norme, essa rovescia ciò che normalmente accade con il diritto penale, che lascia ferme tutte le libertà individuali (opinione, espressione, associazione) sanzionando soltanto casi puntuali in cui l’esercizio di quelle libertà pongano in essere particolari condotte criminose. Nel caso della proposta di legge Zan si fa il contrario: si prevede un reato ampio e dai confini incerti (omotransfobia, appunto) e, dunque, sarà un PM a valutare caso per caso se, a seguito di una denuncia, vada attivata o meno la persecuzione del reato.
Con riguardo alle cosiddette aggravanti del reato, poi, il ddl Zan ne prevede alcune con inasprimenti di pena al di là di quanto già previsto per i reati contro ciascun essere umano. Eppure la doverosa reazione a odiose forme di aggressione verso altri esseri umani, ove il movente sia la loro omosessualità, è già oggi ampiamente riconosciuta dalla giurisprudenza penale dentro lo scenario delle aggravanti dei cosiddetti motivi abietti e futili.
Ritenere che soltanto alcuni soggetti meritino una norma specifica per un surplus di tutela penale, dischiude la ragionevole domanda del perché una persona dovrebbe ricevere tale “favor” in forza del suo orientamento sessuale. In realtà, dietro una protezione penale “privilegiata” pare emergere una visione del mondo che in parte è ideologica.
Si segnala, infine, che ove si voglia effettivamente sradicare una cultura fondata sull’odio - e ciò però vale per tante situazioni di vulnerabilità - gli strumenti stanno nell’educazione al rispetto di ciascun essere umano per la sua dignità intrinseca di persona: difficilmente l’insorgere di un nuovo reato riesce a fare segno specie tra i più giovani, in quanto l’ignoranza non si combatte a colpi di sanzioni penali.
Alberto Gambino
Presidente di Scienza & Vita
Prorettore Vicario dell’Università Europea di Roma
Consiglio centrale Unione Giuristi Cattolici