Il voto del 4 marzo ha reso evidente la disarticolazione nella quale si trova il Paese. Osservando la carta d’Italia con i colori dei risultati nei collegi uninominali, colpisce l’immensa area meridionale e la risalita lungo la costa adriatica, del tutto appannaggio dei candidati 5 Stelle.
E’ nelle regioni dove la disoccupazione giovanile supera il 50 per cento e lo sviluppo si è fermato da tempo che il partito di Grillo ha fatto il pieno dei voti, che gli ha consentito di affermarsi come prima forza del Paese. Se questo dato lo connota come il movimento della protesta sociale, esso è anche la dimostrazione che il Sud è stato abbandonato e i tradizionali canali di rappresentanza sono completamente saltati. Il Presidente Costalli lo aveva ripetutamente avvertito.
Sempre la carta dei risultati elettorali ci mostra un’altra evidenza: il centrodestra, oltre alle sue radicate presenze al Nord, mostra di entrare con forza anche dentro quell’area centrale che da decenni è stata la roccaforte della sinistra. In vaste zone dell’Emilia e delle Marche, lungo la costa toscana e in parte dell’Umbria i problemi della sicurezza e l’inadeguata gestione degli immigrati hanno premiato il partito di Salvini consentendogli il sorpasso rispetto a Forza Italia, con il risultato di connotare un centrodestra a trazione leghista.
L’altra faccia di questa “medaglia” rivela che tutte e due queste evidenze segnano una sconfitta storica del PD che i numeri elettorali, pur pesantissimi, non mostrano del tutto, in quanto si è ormai in prossimità della cancellazione della sua identità politica. Il tentativo, poi rientrato, di Renzi di restare alla guida e di dimettersi solo dopo l’avvio della fase politica che lui stesso ha compromesso per il Pd, pur ispirata dalla apprezzabile volontà di arginare una possibile deriva verso i 5 Stelle è, tuttavia, l’emblema di un partito ormai irrigidito, marmoreo, ma anche fragile e vicino alla scomposizione.
Il centrodestra che ha vinto a livello di coalizioni, superando il 37 per cento, smentisce l’ipotizzata convergenza Salvini-Di Maio, entrambi confermati in una prospettiva di concorrenza per la premiership, con il primo comunque intenzionato a mantenere compatta l’alleanza, garantita da Berlusconi.
Il quadro politico istituzionale uscito dalle urne che vede all’orizzonte un nuovo bipolarismo, stante l’attuale netto declino del PD, non ha, tuttavia, solo problemi di governabilità, peraltro insiti nella stessa legge elettorale, ma risulta disarticolato sotto il profilo della rappresentanza. L’emersione, per le ragioni prima esposte, delle forze politiche più critiche, richiede, innanzitutto, la necessità di fissare alcuni punti fermi di riferimento, senza i quali il rischio sembra poter interessare la stessa tenuta del sistema. E’ doveroso parlarne con sincerità al Paese.
Innanzitutto l’Europa. L’Italia deve partecipare a pieno titolo alla fase di modifica e di integrazione di alcuni profili comunitari che si vanno componendo, per iniziativa francese, lungo l’asse Parigi-Berlino. Una chiave di ingresso, utilizzando il nostro ruolo nel Parlamento europeo, può anche essere trovata in sede politica, in ambito PPE, per la sua forza complessiva e per quella visione di economia sociale di mercato che può stemperare gli eccessi del neoliberalismo e di alcune normative, ripristinando quei principi di solidarietà e sussidiarietà, insiti già nei Trattati di Roma.
Occorre, poi, salvaguardare pienamente il ruolo delle istituzioni, riaffermando innanzitutto, in questa fase, il ruolo centrale del Capo dello Stato, senza forzature e nel rispetto delle sue prerogative. L’appello di Mattarella a “svelenire il clima e ad essere costruttivi” comporta anche un invito ad evitare pieghe trasformiste. E’ indispensabile assicurare la dignità del Parlamento, recuperando coerenza e una capacità di confronto e di individuazione dell’interesse generale, per il quale la governabilità non si fondi sulla occupazione del potere, ma sulla indispensabile soluzione dei problemi che riguardano il lavoro innanzitutto sul quale insiste da sempre il MCL e poi: denatalità e famiglia, immigrazione, lotta alle nuove povertà, ridotta fiscalità, debito e rilancio degli investimenti, sicurezza, difesa del ceto medio produttivo, welfare più giusto, libertà di educazione, credito di prossimità, enti locali. Temi non affrontabili con soluzioni pasticciate, ma che richiedono maggioranze certe e/o ampie convergenze.
Questi stessi elementi sono stati nella consapevolezza dell’impegno programmatico di qualificate personalità portatrici della cultura e delle istanze cattoliche, la cui presenza nella sede parlamentare sarebbe stata di importanza non secondaria. Il suo limitato successo può essere compreso, oltre che per la ridotta visibilità e qualche interessata dispersione di voti (Popolo della Famiglia), anche alla luce di un inspiegabile neutralismo che, ad eccezione di qualche organizzazione sociale, ha contraddetto l’autorevolmente auspicato, rinnovato impegno politico dei cattolici.
Si è trattato, forse, di una battuta di arresto che, tuttavia, non può comportare la rinuncia alla riaffermazione, nella cultura e formazione, nell’intermediazione sociale, nelle articolazioni vive della società italiana, nella stessa politica, di quella ragionevolezza, cristianamente ispirata, per la partecipazione all’ordine civile, senza la quale l’orizzonte dell’Italia resta chiuso e opprimente ed il suo futuro senza vie di uscita. Ai cattolici che ne comprendono la necessità spetta di non arrendersi e continuare il percorso intrapreso.
Pietro Giubilo