Genova è nota nel mondo con l’appellativo di Superba, ma noi preferiamo definirla “riservata”. Chiunque venga nella città della Lanterna per la prima volta la trova bella, affascinante, a tratti misteriosa e normalmente si meraviglia per non averne mai sentito parlare e per non avere avuto echi di pubblicità che ne promuovessero le bellezze.
E non si tratta soltanto di una certa insipienza delle amministrazioni pubbliche del passato che non curavano la comunicazione istituzionale, ma anche di un aspetto peculiare del popolo genovese, che non ama mettersi in mostra, è tendenzialmente chiuso e diremmo minimalista, mal sopporta i voli pindarici ed è sospettoso nei confronti di chi millanta grandi doti personali e iperboliche qualità dei luoghi dove vive e lavora. Non sentirete mai un genovese vantarsi delle sue ricchezze e non perché, come direbbero i malevoli, vuole evitare che gli si chieda un prestito. La presunta tirchieria di noi zeneisi è una leggenda metropolitana destituita di ogni fondamento, soprattutto da quando Papa Francesco nella memorabile visita alla città del 27 Maggio 2017, che tutti portiamo ancora nel cuore, disquisì amabilmente di questo argomento nel suo discorso di congedo dalla città, definendoci gente ospitale e generosa.
Parafrasando il grande cantautore genovese Bruno Lauzi: con quella faccia un po' così, quell’espressione un po' così che abbiamo noi che siamo nati a Genova…
Bisogna infatti dire che la grande scuola della canzone d’autore è nata a Genova e ne porta tutt’ora il vanto, ma negli ultimi anni la città era balzata, come si suol dire, alla ribalta per grandi tragedie che si sono abbattute sul popolo genovese: tre alluvioni ravvicinate, il crollo della Torre Piloti del Porto, con perdite di vite umane che hanno profondamente colpito i genovesi.
Unite ad un immobilismo che ha impedito il rinnovamento da decenni delle infrastrutture essenziali alla città-porto: la nuova cinta autostradale, il collegamento rapido ad alta capacità con Milano e l’asse europeo “Terzo valico dei Giovi” che collegherà il porto di
Rotterdam con Genova, il mare del nord con il Mediterraneo, Genova faceva fatica a ripartire nei tempi giusti.
Tuttavia la città iniziava lentamente a ripartire con l’avvio, dopo decenni di attesa, dei lavori di messa in sicurezza del Torrente Bisagno, principale causa delle alluvioni, ma d’improvviso è arrivata una data che nessun genovese potrà mai dimenticare per tutta la vita: martedì 14 agosto 2018 ore 11,36.
In una mattinata pre-ferragostana solo per il calendario, pioveva a dirotto, era stata proclamata allerta arancione e, in quel preciso momento, in un tratto del Ponte Morandi (ma pochi a Genova lo chiamavano così) collassò il Pilone 9 e circa 250 metri di autostrada crollarono, finendo nel greto del fiume Polcevera, inghiottendo nelle macerie del cemento armato 43 persone.
Vittime innocenti, che si trovavano a passare in quel momento per i motivi più svariati, come migliaia di volte c’è passato ogni genovese, trattandosi di un tratto autostradale praticamente, anche se non ufficialmente, urbano, che collegava il ponente al levante della città, ma soprattutto l’unica via di collegamento tra le autostrade del levante e del ponente, dell’asse autostrade con la Francia, con il centro Italia, con il nord dell’Europa, arterie indispensabili per l’efficienza economica e strategica del sistema portuale del mar Ligure.
A quel punto la città timida, ferita, convalescente da tragedie precedenti, è apparentemente sprofondata nella disperazione. Si era aperto uno scenario governativo sulle concessioni che aveva mire politiche, uno scenario giudiziario che tutt’ora non ha individuato le cause del crollo, uno scenario tecnico che è passato dalla ricostruzione rapida del tratto crollato e rinforzo del resto alla demolizione totale dell’intero viadotto, uno scenario culturale sulla tutela dell’opera di un grande progettista quale Riccardo Morandi, noto in tutto il mondo.
Ma è stata questione di qualche settimana, poi la tenacia genovese è venuta fuori, la città ha reagito; siamo uomini e donne di mare, sappiamo bene che se anche si finisce sott’acqua si può sopravvivere, conosciamo le tecniche dell’apnea, abbiamo i polmoni allenati a trattenere il respiro per tutto il tempo necessario!
Nel nuovo immobilismo delle correnti e delle idee contrapposte, fiutato il pericolo di questa confusione, Genova ha chiesto al Governo una regia personale, la nomina di un Commissario dotato di poteri speciali, carica assegnata al Sindaco Marco Bucci d’intesa con il Governatore della Liguria Giovanni Toti.
Dall’11 settembre al 15 novembre 2018 in cui il Senato approva definitivamente il DL Genova, viene scelta la soluzione definitiva: la demolizione totale e la costruzione di un nuovo viadotto.
I tempi scorrono rapidi: la prima pietra viene posta il 15 aprile 2019, il 28 aprile 2020 la posa in opera dell’ultima campata del viadotto.
E Genova, rimasta in apnea ma non inerte, solleva la testa lunedì 3 agosto 2020, quando il Ponte Genova San Giorgio è stato inaugurato alla presenza del presidente della Repubblica e delle massime autorità centrali e locali.
Tra queste ultime spiccava la presenza di due arcivescovi: l’emerito Cardinal Angelo Bagnasco, che celebrò i funerali di alcune delle vittime del crollo ed aveva seguito con grande partecipazione sia umana sia spirituale la dolorosa vicenda, incontrando più volte i famigliari delle vittime, e il neo eletto nuovo arcivescovo monsignor Marco Tasca, che ha benedetto l’opera.
Abbiamo detto all’inizio e ribadiamo che il popolo genovese non ama mettersi in mostra, la definizione giornalistica di “modello Genova” che molti politici invocano, attribuendosi i meriti della veloce ricostruzione, non ci appassiona e non ci piace particolarmente, ma abbiamo tutti un desiderio, che cristianamente preferiamo definire speranza: che il Ponte Genova San Giorgio divenga il simbolo di un Paese Nuovo, dove si costruiscono ponti belli, resistenti, sicuri, in tempi ragionevoli.
Ma anche, soprattutto, ponti simbolici che uniscono e non muri che dividono e respingono: Papa Francesco docet. Ascoltiamolo!
Maurizio D’Atri (presidente Mcl Regione Liguria)
Alessandro Casareto (presidente Unione Territoriale MCL Genova e Liguria di Ponente)
P.S. Auspichiamo che le attuali problematiche interne al Movimento nazionale e quelle ancora in corso a livello regionale, possano trarre nella cronaca, o meglio nella storia della ricostruzione del Ponte San Giorgio, esempio e stimolo per una rapida risoluzione che deve basarsi sulla creazione di nuovi ponti per nuovi traguardi.