GENOCIDIO ARMENO: CONOSCERE E RICONOSCERE
“Dimenticare le vittime del genocidio armeno del 1915, sarebbe come assassinare questo popolo una seconda volta” affermava Elie Wiesel; non riconoscere lo sterminio, aggiungerei, lo rende un fatto di una disumanità inaudita.
Una nuova pagina concernente il riconoscimento del genocidio armeno è stata scritta prima dagli Stati Uniti e successivamente dalla Svezia, in una settimana che ha visto la Turchia dover rispondere del suo turbolento passato.
A Washington la commissione esteri del Congresso ha aperto una crisi diplomatica fra Stati Uniti e Turchia determinata dal fatto che per i senatori americani gli avvenimenti intercorsi fra il 1915 e il 1917 devono essere ricordati come genocidio. Nonostante l’amministrazione statunitense avesse messo in guardia i deputati a non compiere un passo che avrebbe danneggiato i rapporti tra Stati Uniti e Turchia, la mozione sul genocidio è stata inserita fra gli ordini del giorno e approvata con una maggioranza strettissima. Oltre agli americani anche il governo svedese qualche giorno dopo ha approvato una mozione simile a quella americana determinando il richiamo da parte di Ankara degli ambasciatori rispettivamente da Washington e Stoccolma.
Il governo di Ankara si sente oltraggiato dalle decisioni prese: da una parte affermando che non vi è stato alcun genocidio e dall’altra sottolineando che ogni intervento da parte di stati esteri, diviene un ostacolo al processo di pace fra Turchia e Armenia. Di fatto anche tre anni fa, la commissione esteri americana approvò una mozione simile ma successivamente l’allora presidente Bush impedì che la mozione sul genocidio armeno venisse affrontata nell’aula del congresso; oggi forse la maggioranza politica americana costituita dai democratici deve fare i conti con un ostacolo ancor più grande dell’opposizione repubblicana vale a dire le grandi compagnie americane direttamente coinvolte in Turchia. Il ritiro dell’ambasciatore è stata infatti la prima di una serie di minacce arrivate da Ankara, che potrebbe prevedere la cancellazione da parte della Turchia di contratti con aziende statunitensi (soprattutto del comparto difesa) per un valore economico pari a circa 45 milardi di dollari. A questo punto sono gli Stati Uniti a dover scegliere: far vincere la verità storica oppure far prevalere, come in altre circostanze, le convenienze economiche.
Una riflessione che merita essere ricordata è relativa al ruolo dell’Unione Europea. Troppo spesso si dimentica che i rapporti periodici della Commissione UE e del Parlamento non hanno mai smesso di menzionare le “condizioni del 1987”: quando Ankara pose ufficialmente la sua candidatura, il Parlamento europeo stilò a tal proposito un rapporto molto severo, precisando che la Turchia non sarebbe mai entrata nell’Unione Europea finchè quattro grandi condizioni di principio e legalità non fossero state attuate:
1) riconoscimento e rispetto delle minoranze religiose non musulmane sannite
2) riconoscimento senza condizioni del genocidio armeno
3) pieno rispetto dei diritti umani
4) riconoscimento della Repubblica (greca) di Cipro e ritiro delle truppe turche dall’isola.
Quattro condizioni che non sono mai state rispettate eppure il processo di adesione continua.
Affinché le cose cambino e si possa stabilire un vero dialogo bisogna poter dire tutto, premere il dito là dove fa male… La Turchia non può sfuggire più a lungo alla dolorosa introspezione della sua storia.
Varoujan Aharonian