Molto tempo è passato dai fatti verificatisi nel mercato del fieno di Chicago, quando nel 1886 sei pacifici dimostranti e poi altri ancora persero la vita in uno sciopero per rivendicare le otto ore di lavoro nel contratto. Da allora ce ne siamo appropriati nel continente europeo e col passare del tempo il primo maggio è divenuto, spesso, un mero rituale, durante il quale si esprimono buoni propositi sul mondo del lavoro. Ci si rammarica della mancanza di lavoro, della bassa partecipazione delle donne, del lavoro nero, delle morti sul lavoro e delle retribuzioni da fame di parte dei lavoratori senza tutele, ma le relazioni industriali stentano a tenere il passo per salvaguardare tutti i lavoratori. Alcuni di serie A con tutte le tutele mentre altri di serie B che non le hanno. Il primo maggio, però, è anche l’occasione per guardare avanti e “per nutrire la speranza”. In questo contesto servirebbe un sistema di assistenza sociale per correggere le storture prodotte dal mercato del lavoro che cambia per rispondere alle esigenze produttive, ma purtroppo i lavoratori vengono lasciati soli a districarsi nei suoi meccanismi. Serve, pertanto, un sistema di welfare che integri i redditi che i lavoratori riescono ad ottenere offrendo le loro competenze nel mercato del lavoro e politiche attive del lavoro per migliorare l’incontro della domanda e dell’offerta. Parimenti ad una forte azione di formazione continua. In questa ottica andava corretto e potenziato il reddito di cittadinanza correggendone le storture, considerato che nelle scienze sociali non è possibile fare esperimenti come in quelle naturali, una misura di politica sociale ha bisogno di un periodo di tempo di sperimentazione. Questa c’è stata e sono emerse delle criticità, con una soglia garantita troppo elevata in rapporto alla produttività media Italiana, con l’aliquota marginale applicata ai redditi bassi troppo elevata ed un sussidio calibrato in modo tale da favorire i singoli a svantaggio delle famiglie numerose (che sono invece mediamente più povere). Questi fattori, talvolta, hanno contribuito ad incentivare il non-lavoro o il lavoro nero e non hanno favorito la riduzione della povertà come si attendeva. Mentre il provvedimento dell’attuale Governo (il MIA) sembra che non riduca lo svantaggio delle famiglie numerose e non introduce meccanismi di incentivazione al lavoro. Che il lavoro stia profondamente cambiando è sotto gli occhi di tutti. Da anni ormai è impossibile affrontare il tema del lavoro senza declinarlo dal punto di vista della sua trasformazione che comprende diversi elementi: la tecnologia che sostituisce molte figure professionali, i nuovi mercati che aumentano la concorrenza, la demografia che cambia la struttura della popolazione e delle forze lavoro, il diritto del lavoro e soprattutto le policrisi. In tale scenario il prezzo maggiore lo pagano i giovani, ovunque ed in particolare nel Mezzogiorno e nelle aree interne del nostro Paese. Condividendo il documento dei Vescovi italiani, però, “scommettiamo sulla capacità di futuro dei giovani. Abbiamo bisogno dell’alleanza tra l’economia, la finanza, la politica, la cultura per costruire reti di accompagnamento per i giovani”.
Allora vorrei formulare due auspici in questo giorno di festa per i lavoratori. Da una parte che si possa concretizzare “l’economia politica del lavoro” auspicata da Ezio Tarantelli, ovvero quella di trasformare i lavoratori, attraverso un sindacato libero, unito e autonomo dalla politica, in protagonisti fondamentali della politica economica, coscienti del proprio ruolo di promotori dello sviluppo economico e sociale che non lasci nessuno indietro. Mentre dall’altra, che finalmente si possa avere una riforma del mercato del lavoro, compiuta principalmente sul piano culturale come auspicava Marco Biagi, nella convinzione che “la modernizzazione del mercato del lavoro è un processo particolarmente complesso e delicato che richiede da parte di tutti quell’atteggiamento positivo nei confronti dei cambiamenti”.
Antonio Di Matteo