Le condizionalità “virtuose” che accompagneranno le risorse del Recovery Fund riguardano l’impegno a predisporre riforme e progetti adeguati a imprimere una svolta decisiva per lo sviluppo del Paese. Bruxelles si sta organizzando al fine di verificarne l’appropriatezza per gli Stati che le richiederanno.
Va preliminarmente chiarito che la questione prioritaria è rappresentata dalle riforme, in particolare quelle della giustizia e della pubblica amministrazione. La complessità e l’inefficienza del sistema amministrativo italiano, insieme alle lungaggini delle procedure giurisdizionali, sono le principali cause della lentezza e incertezza operativa che a volte nascondono e consentono zone di ombre corruttive e che caratterizzano il distorto rapporto tra investimenti ed opere e, più generalmente, i tempi inadeguati nell’attuazione delle decisioni inerenti l’attività produttiva. Vi è anche un problema di eccesso di tassazione che costituisce un freno al pieno espandersi dell’economia. Nel mondo della finanza globalizzata e dei mercati aperti, questa condizione, lontana dagli standard operativi di gran parte dei Paesi avanzati, ci isola, favorendo scelte alternative degli operatori internazionali.
Sotto l’aspetto della capacità imprenditoriale e, soprattutto, progettuale, invece, l’Italia ha sempre dimostrato livelli di competitività adeguati; sono noti i successi che nel campo delle infrastrutture la professionalità ingegneristica e manageriale ha saputo conseguire, conquistando commesse importanti in tutto il mondo. Anche nell’ambito di progetti di significativa diffusione dei sistemi informatici - un campo nel quale siamo stati tra i primi nel mondo - per la modernizzazione complessiva del Paese, a cominciare dai sistemi educativi e dallo sviluppo ambientale che trovano in Italia un terreno adatto per storia e offerta di beni naturali, possiamo ritenerci adeguatamente preparati sulla base di una cultura ben radicata e di una tradizionale intelligenza volta alla ricerca e alla innovazione.
L’adempimento delle condizionalità riguarda, quindi, in primis le riforme e l’indicazione degli investimenti necessari per la ripresa. Ma non si tratta di scelte tecniche, bensì squisitamente politiche.
L’idea del premier Giuseppe Conte di far scrivere le riforme necessarie e delegare la scelta dei progetti ad un organismo interministeriale, ove partecipano tutti i dirigenti dei ministeri che lo compongono con un discrezionale coinvolgimento di Regioni, Comuni e membri del Parlamento, sembra seguire una logica di prevalente valenza tecnica, ovvero amministrativa. C’è da sottolineare, a questo proposito, che la questione della rigidità della pubblica amministrazione, principale freno al nostro sviluppo, deriva non tanto e non solo da una burocrazia che ragiona in termini di potere piuttosto che di servizio al Paese, ma da un sistema legislativo e di strumenti programmatori e di “garanzia”, la cui edificazione è avvenuta principalmente per opera degli apparati amministrativi dei ministeri, compresi gli uffici giuridici della Presidenza del consiglio. Per farsene un’idea, occorrerebbe rileggere il drastico giudizio del costituzionalista professor Sabino Cassese sul modo con il quale sono stati scritti i decreti di questi ultimi mesi, definiti “norme incomprensibili, scritte male, contraddittorie, piene di rinvii ad altri provvedimenti”. Senza contare l’esasperata attesa delle circolari attuative che fermano per mesi, se non per anni, le normative approvate.
Sarebbe paradossale che la classe amministrativa, per molti aspetti responsabile della condizione di inadeguatezza a fronte dell’Europa, venisse chiamata a riformare se stessa e quelle norme che ha contribuito, in maniera determinante, a realizzare, edificando un potere consolidato, spesso occasione di veti e ritardi inaccettabili al tempo del digitale e della globalizzazione dell’economia.
E’ la classe politica di questo Paese che, invece, deve dimostrare di essere adeguata al compito che ci attende. Non ci sono scorciatoie e deresponsabilizzazioni plausibili.
Il premier Conte assediato da divisioni politiche anche all’interno della stessa maggioranza, catturato più da questioni di potere che non da elevate esigenze di carattere istituzionale, si preoccupa di costituire o recuperare un organismo, non a caso instaurato da Mario Monti. Si può arrivare ad affermare che siamo di fronte ad un problema non più solo politico, ma di democrazia. Proprio in questi giorni l’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà ha avvertito l’esigenza di organizzare un seminario su un tema significativo: “Serve ancora la democrazia?”, nel quale perfino il direttore del Corriere della Sera ha ritenuto di affermare che “sulle 4 o 5 cose da fare nei prossimi mesi… sia dunque il Parlamento a prendersi la responsabilità di individuarle”. Riferendosi, con evidenza, alle riforme.
Ma c’è un’altra possibile realtà e cioè che l’attuale Esecutivo e le forze che lo compongono non abbiano la determinazione e la compattezza necessarie per intraprendere la via politica delle riforme e la sua debolezza impedisce che ci sia un apporto delle opposizioni. Il Pd da tempo ha opacizzato la sua identità riformista. Non a caso Zingaretti, nella sua recente lettera al Corriere della Sera, scrive di progetti anche in dettaglio e di “massima velocità di esecuzione… superando inutili posizioni ideologiche”, ma poco o nulla di linee e contenuti di riforma. Per la verità, oltre la contrapposizione ideologica, che il segretario del Pd auspica di abbandonare, si è messa da parte la politica ed il vero collante del governo Conte resta l’opposizione alla destra.
Il tempo che ci separa dalla possibile disponibilità delle risorse europee va, d’altra parte, decisamente occupato a predisporre gli interventi di eliminazione di quei lacci e laccioli, senza peraltro giungere ad un Far West deregolarizzato, che sono stati individuati sia in campo amministrativo che giudiziario. Essi costituiscono il fondamento di una burocrazia oppressiva e di potere, con i nascosti sottostanti aspetti opachi che da tempo condizionano chi intende creare lavoro. Può aiutare certamente la telematizzazione delle procedure che cancelli quelle immagini di archivi e “carrelli di pratiche”, descritti con efficacia in un recente scritto del professor Leonardo Becchetti.
Si discute con poca chiarezza e molta strumentalità sul meccanismo e le procedure per arrivare alle riforme necessarie. Si faccia quello che si deve fare, nelle sedi istituzionali competenti. Con un avvertimento temporale: una classe politica di alto livello in un anno e mezzo, nell’Assemblea costituente, realizzò la Carta che conteneva i presupposti e i connotati nel nuovo Stato democratico. E’ possibile, con meno della metà del tempo, preparare il Paese a utilizzare nel modo adeguato le risorse che dalla primavera del prossimo anno giungeranno in Italia, incidendo con operazioni chirurgiche sulle metastasi normative, affinché i progetti non restino sulla carta e far riprendere all’Italia il corso del suo sviluppo? Noi tutti dobbiamo sperarlo, contro ogni evidenza contraria.
Pietro Giubilo