Solo qualche anno fa un politologo liberale come Ernesto Galli della Loggia, forse non avrebbe mai fatto un’affermazione così tranchant: “Da noi la desertificazione politica significa solo da un lato ancora maggior potere alle lobby e alle corporazioni di ogni genere, sempre più autorizzate a fare quello che vogliono, dall’altro il via libera alle genuine pulsioni di una società «civile» che non ha fatto mai gran conto né dello Stato né dell’interesse collettivo. In entrambi i casi non proprio un gran bel viatico per il futuro”. Il tutto nero su bianco sulle colonne del “Corriere della Sera”, il quotidiano della borghesia italiana che in tempi più recenti ha letteralmente inventato la “Casta” con l’intelligenza e le penna di due giornalisti corsari come Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. E prima ancora - sarà bene ricordarlo - aveva vissuto da protagonista interessato la stagione di Mani pulite sino al famoso “invito a comparire” a Silvio Berlusconi preannunciato dal “Corriere” diretto da Paolo Mieli a poche ore dall’inizio del vertice Nato di Pratica di Mare. Correva l’anno 1994.
E’ storia di ieri, anzi per la politica è quasi preistoria, ma ciò che fa pensare, al termine della lettura dell’analisi quanto mai pessimista di Galli della Loggia sullo stato quasi comatoso della politica italiana in cui agiscono solo “partiti personali”, è la sua amara consapevolezza: nessuna risorsa della mitica società civile ci salverà. Detto da un politologo lucido e moderato e ancor più dal quotidiano che ha sempre sostenuto che il Paese potesse contare su una grande riserva morale costituita dalla società civile intesa in senso lato, è un passaggio da non sottovalutare. Se siamo già al capolinea della Seconda Repubblica e la Terza non ha ancora mostrato alcun lineamento né prodotto alcuna speranza di rinnovamento, tanto da indurre gli italiani a disertare in massa le urne, allora occorre prendere atto di un duplice fallimento. Quello della politica incapace di rigenerarsi e quello della società civile incapace di offrire un contributo di serietà, lealtà, onestà e competenza. Basti solo ricordare, a tal proposito, la grande illusione collettiva che ha sviato tanti italiani. E cioè che il Grande Magistrato Collettivo potesse restituire al Paese una parvenza di legalità e di buone e oneste prassi. La consapevolezza che la corruzione persiste e che il malaffare continua a imperversare in ogni angolo del Paese, ha reso i cittadini sempre più disincantati. Ma non si può dire di meglio degli imprenditori prestati alla politica, ben presto diventati politici “tout court”. Basti pensare alla parabola dello stesso Silvio Berlusconi. Per non parlare delle spinte populiste nate dalla pancia del Paese e che, fattesi partito, mostrano vistosi limiti di capacità progettuale e di amministrazione.
Ma ciò che forse sorprende di più nell’analisi di Galli della Loggia è l’assenza di un pur minimo riferimento a quella che in altre stagioni lo stesso politologo considerava una riserva “naturale” per la Repubblica, ovvero il mondo cattolico nelle sue diverse articolazioni, dall’associazionismo storico al volontariato, dai centri di cultura di eccellenza alle fondazioni di ispirazione cristiana, dalle diocesi alle parrocchie e alle comunità. Quasi che un mondo sino a ieri considerato una miniera di senso (anche dello Stato e per lo Stato) avesse perso come d’incanto una sua vocazione storica. Cioè quella di offrire un contributo originale di dedizione alla vita comune nel segno della solidarietà e della gratuità. La recente visita di Papa Francesco nei luoghi di don Primo Mazzolari e di don Lorenzo Milani, due campioni del contributo di senso alla vita comune del Paese, ha riacceso i riflettori sulla presenza dei cattolici e sull’apporto positivo della comunità cristiana nello spazio pubblico. Ma nessuno può trascurare che entrambi erano figli del Dopoguerra e del Novecento. E ancora due sacerdoti, rispetto ai quali la stessa Chiesa aveva un debito di riconoscenza. Un debito saldato da Papa Francesco alla sua maniera, semplice e al tempo stesso profonda. Proprio la loro figura sacerdotale, però, ci induce a guardarci attorno e a chiederci: dove sono oggi i cattolici “provocatori” (sacerdoti e laici), capaci di contaminare prima il mondo cattolico e poi la cultura contemporanea con la loro visione del mondo e del futuro?
In passato lo stesso Galli della Loggia ha sferzato il mondo cattolico accusandolo di “irrilevanza”, manifestando quasi una sana “nostalgia”. Non certo per la Democrazia Cristiana, ma per quell’universo di senso che il mondo cattolico nel suo complesso riusciva ad esprimere, imprimendo un segno profondo nella vita pubblica e nella sua dialettica. Di tutto questo è difficile oggi trovare una traccia significativa e non affiorano ancora risposte significative a quella domanda di Politica con la “P maiuscola” evocata e reclamata da Papa Francesco. Eppure l’urgenza del Paese pretenderebbe una presenza più incisiva dei cattolici, forse sottraendosi alle lusinghe dei partiti personali per cercare nuove strade di dialogo sociale con il Paese. Un’impresa? Certamente. Ma non sarà sempre meglio che aspettare, rassegnati, la morte della Seconda Repubblica nella speranza che un uomo della Provvidenza proponga uno spiraglio di futuro e ci catapulti nella Terza Repubblica?
Domenico Delle Foglie