Più volte, nel corso del lunghissimo lockdown che ha paralizzato il Paese, abbiamo sentito ripetere, sino alla nausea, due espressioni: “verrà il tempo, ma non è questo, per accertare eventuali responsabilità” e “nulla sarà come prima”. Ora che l’Italia si è rimessa in moto, sia pure al rallentatore, è opportuno chiedersi a che punto siamo. E va fatto partendo dalla nostra consapevolezza di Movimento popolare e non populista, valoriale e non ideologico, solidale e non assistenzialistico, ecclesiale e sociale, nazionale e territoriale, culturale e di servizio. Una fisionomia che ha garantito al Movimento Cristiano Lavoratori una crescita impetuosa e un radicamento sempre più forte in molte aree del Paese. In maniera non omogenea, ma ovunque significativa, grazie a una classe dirigente territoriale che ha saputo assecondare il cambiamento, essere al passo con i nuovi bisogni, rinnovarsi nella continuità. E la dimostrazione di questo slancio è venuta, proprio nei giorni durissimi della pandemia, dalle iniziative di solidarietà che il Mcl ha messo in campo nelle sue mille periferie, in assoluta autonomia. Senza che fosse necessario un input dall’alto e con una dimostrazione di matura responsabilità sociale. Per questa ragione, ne siamo certi, il Movimento parteciperà alla ricostruzione solidale del Paese, sempre che venga riconosciuto e valorizzato il contributo, a nostro avviso decisivo, dei corpi intermedi.
Torniamo alla questione delle responsabilità nel corso della pandemia. Delegare alla magistratura, come è già avvenuto, l’accertamento sulla verità dei fatti, è già di per sé una sconfitta annunciata. Infatti, come dovrebbe essere chiaro a tutti, la verità processuale è altra cosa dalla verità fattuale. E buonsenso vorrebbe che la politica non delegasse ad altri la valutazione delle responsabilità. Anche se neppure un dramma come la pandemia, sembra essere in grado di frenare lo scontro politico. Prova ne è la gestione degli Stati generali dell’economia, con l’assenza delle forze di opposizione. Ma come spesso accade in questi casi, le responsabilità vanno suddivise, sia pure in misura diversa, fra tutti i protagonisti.
Veniamo al tema del cambiamento, prepotentemente messo all’ordine del giorno dal coronavirus. Quel “nulla sarà come prima” è stato già esplorato e declinato in mille modi e versioni. Come si diceva una volta, “dal personale al politico”. Di sicuro, l’onda d’urto della pandemia investirà tutti sul piano economico e sociale, nessuno escluso. Se qualcuno pensa di non dover fare i conti con la burrasca in arrivo, è un illuso o un incosciente. Certamente manca di realismo, una dote fondamentale per affrontare le emergenze.
Anche i corpi intermedi come il Mcl saranno chiamati a confrontarsi con il “nuovo” che arriva e occorre, dunque, prepararsi. Basti pensare a due grandissime questioni. La prima: la rabbia sociale legata alla disoccupazione e all’inevitabile affievolimento delle misure assistenziali messe in campo in questi mesi. La seconda: il riaffacciarsi prepotente di un neo statalismo riassumibile nello slogan “più Stato, meno mercato”. Una posizione, questa, che ha tanti sponsor, soprattutto nelle forze di governo. Ma che trova alleati inaspettati nelle forze d’opposizione tentate dalle scorciatoie, a rischio illiberale, delle cosiddette democrature. Russia in primis, mentre la Cina sta a cuore al socio di maggioranza del governo. Il tutto mentre solo l’Europa dà segni concreti di solidarietà, anche se macchinosa e a futura memoria, vista la lentezza nello sblocco dei finanziamenti promessi.
Su tutto questo occorre riflettere per essere preparati a giudicare e ad agire. Anche valutando, serenamente e lucidamente, le conseguenze della crisi sugli stessi corpi intermedi. Dunque, anche sulla nostra tenuta e ad ogni livello di responsabilità e partecipazione.
Domenico Delle Foglie