“Un vero soldato non combatte perché ha davanti a sé qualcosa che odia. Combatte perché ha dietro di sé qualcosa che ama”. Matteo Salvini, al comizio di sabato in piazza Duomo, ha citato Chesterton, volendo evidentemente dare l'idea di una natura non solo reattiva della sua Lega e della costituenda rete dei sovranisti d'Europa. Il leader leghista punta evidentemente sull'identità (con palesi ideologizzazioni) perché vede - e cerca di coprire - uno spazio politico. Crediamo che sia interessante, quindi, senza alcuna simpatia sulle modalità, riflettere su cosa implichi questa comunicazione politica e quale sfida ponga a chi è convinto sia ancora il Ppe la casa più adeguata a ospitare i tentativi di una presenza originale dei cattolici in politica.
Non vogliamo qui in alcun modo, accogliendo totalmente la netta censura che il presidente Carlo Costalli ne ha fatto, sdoganare il linguaggio e i gesti del vicepremier fortemente impegnato nella propaganda per le Europee, piuttosto paragonarci lealmente alla provocazione. Facendola dal nostro specifico di persone e organizzazioni che non hanno certo mai taciuto quanto sia stato sbagliato non riconoscere esplicitamente le radici della nostra civiltà e il valore per tutti che esse, sempre generative, rappresentano.
Sabato a Milano, del discorso del segretario di quello che le urne potrebbero certificar essere il principale partito italiano, riprendiamo la puntuale computazione di Stefano Magni su La Nuova Bussola, "è iniziato con una citazione dello scrittore cattolico inglese e si è chiuso con l’affidamento della propria opera al Cuore Immacolato di Maria, passando per quello dell’Europa ai suoi sei Santi patroni e per due citazioni di San Giovanni Paolo II, una di Benedetto XVI, una di De Gasperi e una del cardinal Robert Sarah". Da richiamare, oltre al rinnovato brandire il rosario, un riferimento (non polemico, ma che ha suscitato i fischi della piazza) a papa Francesco e il fatto che lo statista trentino sia stato in qualche modo associato a De Gaulle e a Margaret Thatcher, in un Pantheon ideale alquanto eclettico.
Basta questo per fare del Capitano un campione del cattolicesimo politico? Certo che no! Ma ci conferma che apparirlo sia un suo obiettivo. Di più, ed è questo l'elemento di sfida che non possiamo tacere e ignorare nelle sue concrete implicazioni, il clamore e una certa diffusa identificazione con il suo stile, conferma che quanto caratterizza nel profondo l'identità nazionale ed europea, contrariamente a quanto vogliono farci credere dalle loro cattedre le élite, ancora convoca e mobilita i popoli. Anche quando impropriamente impiegato per la bassa cucina del consenso immediato.
A chi guarda con simpatia a quello che è evidentemente un cristianismo, dunque, cos'hanno da dire e dare i cattolici impegnati in politica che non abbiano ceduto all'egemonia bannoniana (ma nemmeno si siano piegati al moderatismo a difesa dello status quo)? Come si può non lasciare solo chi rischia di essere abbagliato da certe “luci artificiali”, riprendendo il percorso già avviato con una presenza non tifosa al Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona?
Questa domanda, affrontata con virile creatività, deve vedere impegnati quanti non hanno dimenticato il valore e i valori del popolarismo: non solo e non tanto in quest'ultimo scampolo di campagna elettorale, ma in prospettiva. Non basta censurare le strumentalizzazioni (che è un attimo intrupparsi nel tiepido neutralismo relativista), occorre saper leggere in profondità. Portar fuori dalle pose di un "politicamente scorretto", ormai non meno conformista del "pensiero dominante", la giusta rivendicazione del ruolo pubblico della fede. Un compito che va affrontato agendo con chirurgia precisione: alle persone che non vogliono essere sradicate e omologate è indispensabile offrire una proposta forte che non sia, però, reattiva e ideologica.
Per dirla semplice: non si possono buttar via insieme il bambino e l'acqua sporca. La richiesta di scampare all'annichilimento non può essere ignorata, soprattutto da parte di chi (giustamente) rileva tutti i gravi limiti del farne mero pretesto per una propaganda di partito permanete. Da chi ha davvero qualcosa che sia pienamente corrispondente al desiderio di non smarrire ciò che ci definisce nel profondo.
Marco Margrita