Come era prevedibile, l’esito del voto del 10 giugno, oscurato dalle vicende della nave Acquarius, ha mosso considerazioni soprattutto sotto il profilo di un riscontro rispetto alla politica governativa. Il calo dei 5 stelle viene attribuito alla prevalente influenza di Salvini sul governo, il cui partito verrebbe premiato confermando un centrodestra a guida leghista. Forza Italia e PD sono valutati in calo, tagliati fuori dallo spazio governativo, con qualche cenno di ritorno del voto si sinistra che alle politiche era transitato ai grillini.
Si tratta di una analisi politica reale, ma generica, troppo legata al contingente, sempre passibile di modifiche, che mostra la ritrosità di molti osservatori, a spingersi oltre l’immediato, per cercare di dipanare una complessa matassa di questioni che riguardano la condizione strutturale della società italiana e la rappresentatività delle sue istituzioni.
A ben vedere il voto locale si presenta con elementi di consapevolezza maggiori rispetto al voto nazionale, troppo influenzato dalle campagne di opinione e da forme di risentimento che sfociano nella protesta. Ciò è dimostrato da alcune tendenze che fanno la differenza tra il 4 marzo e il 10 giugno.
Un elemento poco valutato è il voto al Sud, cioè nei luoghi dove maggiore è la sofferenza della società italiana e non solo per la mancanza del lavoro, ma anche per la rinuncia ai progetti infrastrutturali dovuta al calo degli investimenti pubblici, oltre che, in generale, per l’assenza della questione meridionale finanche nel “contratto di governo”.
Proprio in questi territori, come ha rilevato Antonio Tajani, Forza Italia si mostra come “il partito trainante del centro-destra al Centrosud”, conquistando posizioni importanti. Si rileva anche una netta diminuzione del peso rappresentativo del M5Stelle, apparso il 4 marzo egemone in quelle aree. E’ evidente che nelle comunali si è recuperata la necessità di una proposta politica più concreta, anche in grado di dare spazio a quel civismo che alle politiche viene cancellato e rifluisce nell’astensione o nel rancore pessimista. Assieme al rinnovamento della sua classe dirigente, una maggiore attenzione ai temi concreti sarebbe la strada più idonea a far riprendere vigore ai partiti che aderiscono al PPE.
Il voto leghista che cresce non si basa solo sul “vettore” del ruolo governativo, ma si fonda su qualcosa che è ormai marginale in altre formazioni politiche o, addirittura, strutturalmente inesistente. Cioè sul fatto che la Lega è un partito che si sviluppa nei territori dai quali proviene la sua classe dirigente che si forma nelle esperienze amministrative locali e, quindi, in grado di raccogliere una voglia di rappresentanza che può durate perché ben radicata.
D’altra parte, come scenario complessivo, il voto del 10 giugno conferma che l’alleanza di centrodestra permane e da frutti nelle amministrazioni locali e che lo sbandierato “governo del cambiamento” non ne ha comportato una svolta complessiva o un ribaltamento, in quanto anche Salvini ha ammesso che non intende inseguire, al secondo turno, il voto pentastellato. Per la verità, questa alleanza ha dato prova, soprattutto nelle Regioni ed in alcuni comuni, di stabilità nel consenso e concretezza nell’amministrare, confermando l’idea che al centrodestra appare indispensabile una conformazione politica ampia, inclusiva, non incline a forzature.
A sostegno di questa esigenza si potrebbe rilevare che, nell’attuale prevalenza della leadership leghista, il ruolo dei riferimenti italiani al PPE, sarebbero pertinenti ad una politica europea che intenda risolvere alcuni problemi e realizzare qualche riforma, mantenendo comunque il necessario quadro di riferimento, cioè una scelta europeista, assolutamente irreversibile.
Appare comunque indispensabile far partire dagli enti locali una politica nuova che non si esaurisca nelle alchimie delle alleanze o delle “vertenze” interne alla politica, che, oltre alle questioni della sicurezza e dell’immigrazione, rimetta sul tappeto i temi “veri” e cioè le azioni politiche necessarie al fine di difendere l’equità del sistema sociale e che provveda ad affrontare la mancanza di lavoro e lo sviluppo produttivo, senza le cui soluzioni la politica è destinata, ancora, ad allontanarsi dalle attese della gente. Questo è il vero banco di prova della credibilità della politica.
Prima di questa tornata elettorale avevamo auspicato che dal voto nei comuni si aprisse una fase di ricomposizione dell’Italia nel senso, soprattutto, di una ritrovata rappresentanza. Cogliamo qualche segno in questa direzione, ma occorre una forte consapevolezza delle forze politiche della necessità di ritrovare un bene comune.
Pietro Giubilo