Il 23 maggio 1915 il Duca D'Avarna, ambasciatore d'Italia a Vienna, presentava al Ministro degli Esteri austroungarico la dichiarazione di guerra.
Da quel momento l’Italia sarà, quindi, coinvolta a pieno titolo in quella “Grande Guerra”, nella quale tanti giovani italiani persero la vita per il “glorioso avvenire della Patria”.
25 anni dopo, in quel tragico 10 giugno del 1940, dal balcone di Piazza Venezia Mussolini annunciava che era arrivata, ahimè, l'ora delle decisioni irrevocabili e che la dichiarazione di guerra era già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia.
Oggi è, altresì, in corso, come ci ricorda sempre Papa Francesco, la terza (forse la quarta se si considera anche la cd “guerra fredda”) guerra mondiale. Un conflitto, tuttavia, strano, fatto a pezzi, a capitoli ma dappertutto nel mondo.
Una guerra, inoltre, senza una vera e propria dichiarazione di guerra, come si confà alla comunicazione di oggi a colpi di tweet, ma, potremmo dire, dichiarata per fatti concludenti come il drammatico attacco alla città di Parigi, ed all’Europa tutta, di pochi giorni fa.
Dopo tale vile atto terroristico da molte parti si è chiesto, non si sa secondo quale logica, di stoppare il Giubileo o, almeno, di posticiparlo per non provocare questi folli adoratori della morte e per non mettere, ulteriormente, a rischio la città di Roma.
Una richiesta, tuttavia, inaccettabile e da rispedire celermente al mittente: la paura non può, e non deve, vincere.
Sì, quindi, al Giubileo, sì al Giubileo della Misericordia di cui questo nostro strano mondo ha sempre più disperato bisogno.
Sì a questo Giubileo indetto da un Papa coraggioso e che, come ci ha detto fin dal giorno della sua elezione, non è romano ma viene da molto lontano, con tutto quello che questo significa.
Sì a un Giubileo che, come questa strana terza guerra mondiale, è a capitoli e pezzi ed accetta, senza paura, la dimensione globale del mondo in cui siamo chiamati a vivere.
Un anno giubilare che inizierà, è bene infatti ricordarlo, con un gesto altamente simbolico, domenica 29 novembre in Centrafrica, un Paese duramente ferito dalla guerra, dove il Papa ha in animo, con una decina di giorni di anticipo rispetto all’apertura ufficiale, di aprire la porta santa della cattedrale di Bangui.
Il terrorismo non si vince, insomma, con la paura e rinchiudendoci nei nostri fortini, ma con il coraggio di un dialogo franco che, partendo dall’orgoglio e dalla consapevolezza dei propri valori e della propria visione del mondo, sappia aprirsi agli altri per costruire, insieme, un mondo più sicuro e più giusto per tutti.
Giancamillo Palmerini