I prossimi mesi ci diranno se il pendolo della storia batte ancora a favore dei populismi o se è iniziato il riflusso tipico dei fenomeni socio-politici che si nutrono del rancore e che nell’incapacità di farsi sistema, finiscono per implodere e ripiegare su se stessi.
Piuttosto occorre chiedersi, senza indugi, se il popolarismo abbia ancora uno spazio socio-politico in Italia. Se ci siano le condizioni per far maturare una visione di Paese in grado di rispondere al cambiamento d’epoca che siamo chiamati a vivere. Se sia possibile una profonda battaglia culturale per restituire al popolo il protagonismo che merita e la sovranità che gli spetta, rifuggendo da quella dimensione mitica attraverso la quale è stato preso in ostaggio da gruppi di potere (a destra come a sinistra) mossi dall’odio verso le élites (spesso indifendibili) e desiderosi di fare giustizia sommaria. Se si possa costruire una trama di relazioni all’interno del Paese in grado di reggere l’urto della propaganda populista e delle scorciatoie individualistiche e decisioniste. Se sia utile a tutti riprendere un percorso riformista che veda il popolo partecipe e responsabile. Se il Paese non debba, proprio in virtù del riconoscimento dell’altro non come un nemico ma semplicemente come un avversario, accogliere l’istanza riformista come l’unica via democratica per il cambiamento. Se non si debba finalmente chiudere la stagione del giustizialismo, esercitato in questi decenni a un livello così pervasivo, da avvelenare i pozzi della vita democratica. Se, in sostanza, non si debba mettere mano a una manutenzione della vita democratica, tale da restituire senso e progetto alla rappresentanza politica, svuotata in questi anni dalla “mala gestio” e dall’assalto dei processi di disintermediazione che hanno sottratto protagonismo positivo a tutti i corpi intermedi.
Ma prima di ogni cosa va rivisitato il popolarismo nella sua capacità di costruire una visione di futuro condivisa dal popolo come dai governanti e dai gruppi dirigenti. Un’impresa alla quale il popolarismo storico, di matrice cattolica, ha saputo dare una risposta positiva nel secondo dopoguerra e non si capisce perché non possa darla anche oggi, sottraendosi a ogni nostalgia ma allargando il campo delle alleanze e delle intese sociali, culturali e politiche. Rispondendo, così, anche alla domanda risorgente di una nuova rappresentanza politica dei cattolici.
Ci chiediamo: oggi è possibile stilare un’agenda del popolarismo che aiuti il popolo a sottrarsi alle scorciatoie del populismo, a parlare il linguaggio del dialogo, a rifiutare l’odio e il rancore, a scegliere la prassi della relazione, ad abbracciare il metodo della buona comunicazione ? Noi crediamo che sia possibile rivisitando e aggiornando i cardini del popolarismo messi a raffronto con le domande poste dal nostro tempo. Proviamo a farne sintesi con un decalogo certamente non esaustivo.
- Il pieno diritto al lavoro come sancito dalla Costituzione e con un occhio speciale nei confronti dei giovani che stanno pagando il prezzo più alto della lunghissima recessione che ha sconvolto il Paese.
- Sostegno concreto e strutturale nei confronti della famiglia con un effettivo “favor familiae”.
- Integrazione dei migranti in un costante e saggio bilanciamento fra il dovere dell’accoglienza nella legalità e la domanda di sicurezza dei cittadini.
- Contrasto a tutte le forme di povertà e difesa del diritto alla vita.
- Diritto allo studio e libertà di insegnamento in ogni grado di studi.
- Riforma fiscale che pur conservando il meccanismo di un’equa progressività, sia in grado, in un tempo ragionevole, di liberare risorse per famiglie e imprese.
- Alleggerimento del peso dello Stato attraverso processi di privatizzazione e di responsabilizzazione degli enti locali.
- Acquisizione del problema del Mezzogiorno come questione nazionale non più rinviabile, pena la divisione reale del Paese. Sarebbe utile definire un crono programma sul modello della unificazione tedesca.
- Rilancio del ruolo dei corpi intermedi e del dialogo sociale come metodo di costruzione del consenso.
- Scelta irrevocabile dell’Europa come spazio di cittadinanza attiva e destino comune.
Attorno a questi temi non solo è possibile costruire nuove alleanze sulla base di quanto ciascuno può fare per il Paese (piuttosto che di quanto si aspetta di ricevere), ma anche promuovere una nuova narrazione popolare in base alla quale riaffermare la gioia, l’orgoglio e la responsabilità di essere italiani e cittadini d’Europa.
Domenico Delle Foglie
P.S. Le parole del cardinale Gualtiero Bassetti (presidente dei vescovi italiani) a “La Repubblica” confermano le nostre sensazioni. Afferma il cardinale: “Oggi tra molti cattolici si percepisce un bisogno, che a volte è un’aspettativa, di una nuova rappresentanza del mondo cattolico. Questo rimane un serio argomento di riflessione per il futuro”. E poi indica tre grandi “priorità irrinunciabili”: il lavoro, la famiglia e i migranti. Il tutto in una “prospettiva personalista” che deve connotare la presenza e la visibilità dei cattolici nello spazio pubblico. Messaggio ricevuto!