Ciò che stiamo sperimentando, al prezzo della sofferenza inudita di un parte significativa della popolazione, è il fatto che l’Occidente, dal punto di vista sanitario, non ha strutture e risorse pubbliche adeguate a questa epoca e a questa situazione. Come fare per entrare nel XXI secolo anche dal punto di vista della salute pubblica? È questo che i Paesi europei occidentali devono capire e mettere in atto, in poche settimane, di fronte a una pandemia che, nel momento in cui scriviamo, imperversa il Pianeta, causa delle ricorrenti ondate di contaminazione e delle mutazioni del virus.
Vediamo come e perché, partendo innanzitutto dal Sistema Sanitario dell’Europa in particolare dei Paesi maggiormente industrializzati. Dobbiamo, pertanto, ribadire innanzitutto, a rischio di creare sconcerto, che la posizione di molti specialisti di salute pubblica è coerente su un punto: la pandemia Covid -19 sarebbe dovuta rimanere una epidemia più virale e letale dell’influenza stagionale, con effetti lievi sulla grande maggioranza della popolazione, e molto seri solo su una piccola frazione di essa. Invece, se consideriamo in particolare alcuni Paesi europei e gli Stati Uniti, lo smantellamento del sistema sanitario pubblico ha trasformato questo virus in un catastrofe senza precedenti nella storia dell’umanità e in una minaccia per l’insieme dei nostri sistemi economici. Ciò che affermano gli esperti è che sarebbe stato relativamente facile frenare la pandemia praticando lo screening sistematico delle persone infette dall’inizio dei primi casi: monitorando i loro movimenti; ponendo in quarantena mirata le persone coinvolte, distribuendo in modo massiccio mascherine all’intera popolazione a rischio di contaminazione, per rallentare ulteriormente la diffusione. Trasformare un sistema sanitario pubblico degno di questo nome in un’industria medica in fase di privatizzazione si rivela un problema grave. Ciò non impedisce a “eroi” e “santi” di continuare a lavorare nella sanità pubblica: ne abbiamo una vivida rappresentazione in questi giorni. La diffusa privatizzazione dell’assistenza sanitaria ha portato le nostre autorità a ignorare gli avvertimenti fatti dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) in merito ai mercati della fauna selvatica a Wuhan. Non si tratta di dare lezioni ex post a nessuno, ma di comprendere i nostri errori per agire nel modo più intelligente possibile nel futuro. Prevenire eventi come una pandemia non è redditizio a breve termine. Pertanto, non ci siamo premuniti né di mascherine né di test da eseguire massicciamente. E abbiamo ridotto la nostra capacità ospedaliera in nome dell’ideologia dello smantellamento del servizio pubblico, che ora si mostra per quella che è: un’ideologia che uccide. Non avendo mai aderito a tale ideologia, e forti dell’esperienza dell’epidemia di SARS del 2002, Paesi come la Corea del Sud e Taiwan hanno predisposto un sistema di prevenzione estremamente efficace: lo screening sistematico e il tracciamento, puntando alla quarantena e alla collaborazione della popolazione adeguatamente informata e istruita, facendole indossare le mascherine. Il danno economico risulta trascurabile. Invece dello screening sistematico, noi occidentali abbiamo addotto una strategia antica, quella del confinamento, a fronte di un a frazione esigua di infetti, e di una parte ancor più piccola tra questi che potrebbero avere gravi complicazioni. Ma, per quanto piccola possa essere, quest’ultima frazione è ancor maggiore dell’attuale capacità di assistenza dei nostri ospedali.
Non avendo altre strategie, è chiaro che il non fare nulla equivarrebbe a condannare a morte centinaia di migliaia di cittadini, come mostrano le proiezioni che circolano all’interno della comunità degli epidemiologi, comprese quelle dell’Imperial College di Londra. Anche se alcuni aspetti di questo documento sono discutibili, essa ha il merito di chiarire che l’inazione è semplicemente criminale. E’ stata questa prospettiva a indurre Emmanuel Macron in Francia e Boris Johnson nel Regno Unito a rinunciare alla loro iniziale strategia di “immunizzazione di gregge” e a “svegliare” l’amministrazione Trump. Ma troppo tardi: questi Paesi ora rischiano di pagare un prezzo pesantissimo in termini di vite umane per il loro ritardo nell’intervenire adeguatamente. In tale contesto si inserisce lo STATO SOCIALE, con gli effetti conseguenti. Il parziale isolamento dell’Europa ha ravvivato l’idea che il capitalismo è sicuramente un sistema molto fragile, e così lo Stato sociale è tornato di moda. In realtà, il difetto nel nostro sistema economico or rivelato dalla pandemia è purtroppo semplice: se una persona infetta è in grado di infettarne molte altre in pochi giorni e se la malattia ha una mortalità significativa, come nel caso di COVID-19, nessun sistema economico può sopravvivere senza una sanità pubblica forte e adeguata. I lavoratori, anche quelli più in basso nella scala sociale, prima o poi infetteranno i loro vicini, i loro capi, e gli stessi ministri alla fine contrarranno il virus. Impossibile mantenere la frazione antropologica dell’individualismo implicita nell’economia neoliberista e nelle politiche di smantellamento del servizio pubblico che la accompagnano da 40 anni: l’esternalità negativa indotta dal virus sfida radicalmente l’idea di un sistema complesso modellato sul volontarismo degli imprenditori “atomizzati”. La salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno. Siamo tutti connessi in una relazione di interdipendenza. E questa pandemia non è affatto l’ultima, la “grande peste” che non tornerà per un altro secolo, al contrario: il riscaldamento globale promette la moltiplicazione delle pandemie tropicali, come affermano la Banca Mondiale e l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) da anni. E ci saranno altri coronavirus. Senza un efficiente servizio sanitario pubblico, che consenta di selezionare e curare tutti, non esiste più alcun sistema produttivo praticabile durante un’epidemia da coronavirus. E questo per decenni. L’appello lanciato il 12 marzo dal Mouvement des enterprises de France (MEDEF) - il sindacato francese dei datori di lavoro - per “rendere il sistema produttivo più competitivo “tradisce un profondo malinteso sulla pandemia, ma anche Cgil Cisl e Uil negli incontri con il Governo Conte hanno confermato tale tesi, invitando l’esecutivo a produrre il massimo sforzo possibile, per efficentare il SSN.
Diversamente come in questi due mesi è stato evidenziato una generale incapacità di gestione delle emergenze sanitaria, sia pure di carattere straordinario e eccezionale, a cui tuttavia, probabilmente per l’effetto della globalizzazione dovremmo abituarci a combattere, e se gli operatori sanitari si ammalano c’è il rischio del collasso del sistema ospedaliero, come sembra stia accadendo in Italia a Bergamo, Brescia e in misura minore a Milano. E’ quindi necessario che lo Stato promuova la diffusione di farmaci anti o retrovirali, in modo da consentire molto rapidamente, ovunque, di alleviare il carico del sistema ospedaliero sull’orlo del tracollo. E che i cittadini di tutti i Paesi mostrino finalmente senso di responsabilità. Perché il confinamento sia rigoroso, insieme ai noti comportamenti elementari di igiene personale, tutti devono comprenderne il significato e l’utilità. Il confinamento rallenta efficacemente la diffusione del virus e - ripetiamolo -, in assenza di un sistema di screening, rimane la strategia meno negativa a breve termine.
Tuttavia, se ci fermiamo a esso, diventa inutile: se usciamo dal confinamento, diciamo, tra un mese, il virus sarà ancora in circolazione e causerà gli stessi decessi di quelli che avrebbe causato oggi in assenza di contenimento. Attendere, attraverso l’isolamento, che la popolazione si immunizzi, più o meno la strategia inizialmente proposta da Johnson, ma “a casa” richiederebbe mesi di confinamento. E’ quindi necessario organizzare una “prima” liberazione del contenimento, al più tardi tra qualche settimana. Prendere questo rischio collettivamente ha senso però solo a una condizione: applicare, questa volta, la strategia adottata in Corea del Sud e Taiwan con il massimo rigore. Il tempo che stiamo guadagnando chiudendoci in casa dovrebbe servire per: - riportare Ro (che probabilmente era circa 3 all’inizio del contagio) il più vicino possibile a 1; - incoraggiare la riconversione di alcuni settori economici, per produrre in serie i ventilatori polmonari di cui ora hanno bisogno le terapie intensive per salvare vite umane; - consentire ai laboratori occidentali di produrre subito apparecchiature e materiali di screeening , in primis i “Tamponi” mentre si organizzano per realizzare in poche settimane il sistema necessario. Al momento ci sono due enzimi, in particolare, le cui scorte sono molto insufficienti, e quindi limitano la nostra capacità di effettuare screening; - produrre le mascherine di protezione, essenziali per frenare l diffusione del virus quando lasciamo la casa.
Tali battaglie devono inevitabilmente passare attraverso politiche Nazionali uniche (senza differenziare troppo da Regione a Regione creando spesso confusione e disorientamento) ma soprattutto con politiche sanitarie e di “bilancio” forti da parte della Unione Europea che sta perdendo ancora una volta l’occasione per dimostrare la unità del vecchio Continente, che scricchiola ogni giorno sempre di più e come ha detto Papa Francesco il giorno di Pasqua: “L’Europa dia prova di solidarietà lasciando da parte per una volta interessi egoistici e sovranisti che si scontrano con i principi stessi della sua nascita”. Non è più il tempo dell’indifferenza verso gli altri ma è tempo della vera fratellanza che Cristo Risorto ha dimostrato nella sua vita “Terrena”.
Michele Cutolo
Vicepresidente nazionale MCL