LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO: VENTI ANNI DOPO
Venti anni fa, il 9 novembre 1989, sotto la pressione di un intero popolo che rivendicava la propria libertà, dopo oltre quarant’anni di oppressione comunista, crollava il muro di Berlino. La caduta del muro apriva la strada a un rapido processo di riunificazione della Germania in un solo Stato democratico e libero. Questa opportunità venne rapidamente colta e guidata dal cancelliere democristiano della Germania federale Helmut Kohl che avviò, con decisione e grande determinazione politica, un fulmineo processo di riunificazione nazionale che si concluse formalmente il 3 ottobre del 1990.
Tuttavia anche se, già da sola, la riunificazione tedesca è un fatto di enorme rilevanza storica e politica di per sé assolutamente primario, l’importanza della caduta del muro di Berlino va ben al di là di questo pur straordinario evento. Con la caduta del muro si avvia, infatti, la fase finale dello sgretolamento dell’impero sovietico costituito da Stalin nei Paesi dell’Europa orientale occupati dall’Armata Rossa nel corso della seconda guerra mondiale e, soprattutto, si mettono i presupposti per il crollo del regime comunista in Russia e per la dissoluzione della stessa Unione Sovietica. Appena due anni dopo, il 26 dicembre 1991, il Soviet Supremo scioglierà ufficialmente l’URSS.
Non è davvero usuale assistere a stravolgimenti degli assetti politici mondiali tanto profondi e importati in un periodo di tempo così ristretto e, soprattutto, senza che sia intervenuta a determinarli la vera e propria violenza specifica di una guerra. Il fatto che il regime comunista sia crollato in ragione del proprio esaurimento interno, sia imploso in ragione delle proprie contraddizioni di fronte alla sollevazione pacifica dei popoli, rende, forse, ancor più simbolica e significativa la dimensione, veramente epocale, del crollo del muro che divideva la Germania.
Il 1989 rappresenta il crollo e lo schianto del comunismo come ultima ideologia totalitaria del ‘900, l’autodissolvimento di quel “socialismo realizzato” che aveva suscitato nel mondo tante speranze, tanti sacrifici, tanta dedizione, tante passioni, ma anche altrettante stragi, altrettanti orrori, altrettanti feroci crimini. Nella storia del comunismo colpisce profondamente come esso abbia potuto essere il più tirannico dei sistemi attuati sulla terra apparendo, nel contempo, a coloro che erano esterni al potere sovietico, come forza di liberazione.
Particolarmente significativo è il fatto che nell’avvio di questo processo di dissoluzione del blocco orientale sia risultato determinante ed essenziale il confronto-scontro con una potenza, non materiale ma spirituale: la Chiesa cattolica. Si può, infatti, ben dire che senza l’elezione al soglio di Pietro di Karol Wojtyla, il Papa polacco, tutto quello che è avvenuto nell’89 non sarebbe accaduto. O, almeno, non sarebbe accaduto nelle modalità e nei tempi in cui si è verificato.
Padre Stanislao Dziwisz, cardinale di Cracovia, all’epoca segretario di Wojtyla, ha dichiarato nei mesi scorsi a l’Avvenire a proposito del primo viaggio di Giovanni Paolo II in Polonia, nel 1979: “Dopo questa visita la Polonia non è stata più la stessa. La gente ha rizzato la schiena, non aveva più paura. Giovanni Paolo II ha liberato l’energia interiore del popolo. In questo senso ha posto le basi spirituali per la nascita di Solidarnosc l’anno dopo”. Ed è proprio l’anno dopo, nell’estate del 1980, quando gli operai dei cantieri di Danzica si sollevano e si ribellano alla dittatura del “socialismo reale” sotto la protezione dell’icona della Madonna Nera di Cezstokowa, che il muro di Berlino comincia a crollare.
Conferma questa tesi anche Lech Walesa leader di Solidarnosc e della pacifica rivoluzione polacca degli anni ’80. In occasione di un suo recente viaggio in Italia ha, infatti dichiarato a Il Riformista: “Anche il muro di Berlino è caduto grazie alle trasformazioni in Polonia. Tutto è cominciato dalla Polonia…siamo stati noi a far saltare i denti dell’orso”, ma soggiunge poi anche “a volte mi chiedo se ne sia valsa la pena”.
E’ una domanda realmente angosciata quella che si pone oggi il vecchio leader di Solidarnosc, ma, in ultima analisi, retorica. La liberazione dalla tirannia del comunismo dell’intera Europa orientale e della Russia resta di per se stessa, infatti, un valore enormemente positivo, anche malgrado tutte le contraddizioni che si sono scatenate dopo il crollo del muro e gli enormi problemi che l’Europa e l’occidente si sono trovati, e si trovano, a dover affrontare.
Non è, tuttavia, una domanda immotivata.
Le parole che Giovanni Paolo II pronunziò a Gniezno, tornando in patria, nel 1979 per lanciare la sua sfida al comunismo “Non vuole forse lo Spirito Santo che questo Papa slavo proprio ora manifesti l’unità spirituale dell’Europa?” sono, infatti, ancora in attesa di una risposta compiuta.
La caduta del muro di Berlino, che simboleggia il disfacimento del comunismo come ultima ideologia totalitaria, conclude, in un certo senso, il Novecento come secolo dell’utopia. Tutto ciò ha posto, e pone, all’Europa enormi problemi, di carattere politico, economico, culturale e spirituale, che sono anche, allo stesso tempo, enormi opportunità: a cominciare dal nuovo rapporto con una Russia che, dopo la lunga ibernazione sovietica, non può non tornare a giocare, a pieno titolo, il suo ruolo di grande nazione europea di profonda ed antica tradizione cristiana.
Problemi che sarà, tuttavia, difficile risolvere ed opportunità che sarà arduo cogliere senza attingere alla risorsa di quella ‘unità spirituale dell’Europa’ di cui parlava Giovanni Paolo II all’inizio del suo primo viaggio polacco, e che oggi vediamo seriamente minacciata nell’Europa occidentale come in quella orientale, dalla montante egemonia della cultura relativista.
Pier Paolo Saleri
Coordinatore del Comitato Scientifico
Fondazione Italiana Europa Popolare