Renzi sta rottamando, tra le tante cose da rottamare, anche la sussidiarietà. Diciamo subito che secondo noi è una mossa sbagliata. La sussidiarietà - tipicamente, se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l'ente superiore non deve intervenire, ma può semmai sostenere l’inferiore - è il cardine culturale della partecipazione dei cattolici alla politica nel XXI secolo, una modalità importante per semplificare la macchina pubblica, un’opportunità di ridurre la spesa dello Stato e anche uno spazio di dialogo politico con la società civile, che non è disposta ad accettare il ritorno allo Stato secentesco, dove ogni funzione pubblica e ogni forma di rappresentanza politica veniva centralizzata.
Duole dirlo, ma Matteo Renzi sta muovendosi oramai da perfetto estraneo alla grande tradizione politica della Democrazia Cristiana: a lui parrà un gran bene, ma a quegli italiani che hanno, oltre che una coscienza democratica, anche un minimo di consapevolezza della complessità dei fenomeni storici e politici, lo stile liquidatorio del premier appare per quel che è: piegarsi ai diktat delle alte burocrazie statali, interessate a ridurre gli spazi di dialogo sociale e le autonomie istituzionali.
Il giornale Avvenire, coraggiosamente, li ha scovati nelle pieghe della legge e ha avvisato che «sembrano piccoli interventi, di quelli che a prima vista colpirebbero finalmente una qualche burocrazia o eliminerebbero dei privilegi. E invece sono destinati a danneggiare proprio i più deboli tra i cittadini». Per capire di che si tratta diciamo subito che la materia del contendere non sono solo i milioni di euro che il fondo riconosce ai patronati per svolgere funzioni di consulenza, elaborazione dati, rapporti con il pubblico, ecc. che altrimenti dovrebbe svolgere lo Stato (la sussidiarietà non riceve soltanto…) ma quei 14 milioni di cittadini che nel 2014 si sono rivolti a questi enti (senza contare i Caf): lo stesso governo che predica la riduzione della spesa pubblica in realtà medita di riportare sotto il proprio ombrello tutte le funzioni che legano l’elettore-contribuente allo Stato centrale.
Alla base di questo ragionamento, che emerge, come abbiamo detto, anche da altre scelte economiche e istituzionali, vi è una scommessa e una debolezza. La scommessa di riuscire a gestire il rapporto politico con il cittadino, attraverso i mezzi della propaganda mediatica (web compreso) senza alcun intermediario istituzionale o sociale e la debolezza di una democrazia autoritaria che non può venire a patti con tali intermediari. Come Highlander, Renzi sogna un’Italia in cui «resterà soltanto uno». Un incubo.
Stefano Giordano