La tornata elettorale dello scorso 4 marzo ha segnato il deciso consolidamento del tripolarismo italiano, nato con il voto politico del 23 febbraio 2013, la fine della cosiddetta Seconda Repubblica e la nascita di una Terza, con protagonisti nuove forze e nuovi leader.
L’analisi dei risultati - con la sconfitta del Pd e la totale débâcle della sinistra di Leu e dei partitini proto-marxisti (che hanno pensato che il mondo si fosse fermato alla Cirinnà e allo Jus soli) - ha evidenziato come il tradizionale bacino di consenso formato dai ceti popolari, e dagli operai in particolare, si sia in prevalenza ri-orientato: verso il Movimento 5 Stelle, al Sud in particolare, e - come già in passato - la Lega. Una buona fetta della “classe operaia”, insomma, ha deciso di andare in paradiso seguendo le Stelle o ascoltando i cori del neonazionalismo salviniano, lasciando a terra falci&martelli, così come tutte le arboree e floreali evoluzioni dell’ex Pci sulla strada dell’incontro con laici e cattolici nell’attuale Pd.
Non si può non sottolineare il fatto che i dem sembrano diventati soprattutto il partito di buona parte delle élite economiche, dei ceti elevati e dei pensionati. Il cambiamento travalica l’appartenenza a una fascia sociale, coinvolge in maniera diversa i corpi intermedi e mostra come non ci sia più una diretta corrispondenza tra lavoro svolto e scelta politica, tra identità professionale e preferenza partitica, e neppure - dato pure non nuovo - tra appartenenza religiosa e prevalente consenso a una formazione.
Le ricerche lo dicono da tempo - e lo confermano gli scarsi risultati delle liste (vecchie e nuove) che si rifacevano esplicitamente alla tradizione politica cattolica o a singoli concetti guida (oggi la famiglia, ieri l’aborto) - che le preferenze dei cattolici impegnati sono più o meno sovrapponibili a quelle degli italiani in generale e motivate principalmente dal “clima” programmatico complessivo.
Spesso si bada a un concreto interesse - sia esso economico o rivolto a specifici aspetti come la sicurezza, l’immigrazione, il lavoro, la previdenza - e si valuta il prezzo da pagare in termini di valori discordanti, di aspetti non condivisi. Poi si “acquista”, attendendosi che il servizio sia reso. Se non avviene, si cambia velocemente “marca”, cioè voto, insoddisfatti di quel partito come di una mozzarella senza sapore. O ci si ritira sulla montagna del non-voto: dobbiamo, comunque la si pensi, prendere atto di questo.
Tra tante incertezze, emerge un processo in corso piuttosto chiaro e significativo: il cambiamento della rappresentanza.
Ma non sono ancora morti né la partecipazione, né la passione, né l’identificazione in un progetto. Sono piuttosto riservati ad altro. Le tradizionali sezioni dei partiti sono ormai chiuse o semivuote, ma sono piene le sedi di associazioni, circoli, centri e oratori. È lì oggi, più che nelle urne, che si avverte forte la ricerca di un bene comune. Più vicino di quello che si discute o si dovrebbe discutere in Parlamento. Più limitato, apparentemente, ma vero. E la vera politica è lì. Ed è da lì che anche noi dobbiamo ripartire.
Il periodo che attraversiamo è la conseguenza di un voto rancoroso, più contro che pro, frutto della coesione sociale in crisi per le troppe diseguaglianze prodotte dalla globalizzazione incontrollata. L’Italia oggi ha necessità di essere governata e, soprattutto, di essere governata bene. Valuteremo il nuovo governo non su formule, sigle, contratti, ma su fatti concreti, su atti trasparenti. Parole, demagogie, promesse ne abbiamo sentite fin troppe in campagna elettorale, ben sapendo che sarebbero state irrealizzabili. A noi interessa innanzitutto che ci sia attenzione al lavoro, in primis per i giovani e il Mezzogiorno, dove la piccola ripresa è ancora lontana dal far sentire gli effetti positivi. Provvedimenti chiari, con regole che non ingessino il mercato del lavoro, ma sappiano esaltarne le potenzialità, favoriscano la nascita di nuove imprese e seguano l’evoluzione tecnologica del lavoro con diritti di base da assicurare per tutti e con tutele flessibili e variabili. Inoltre, confidiamo in un’estrema cautela nel mettere mano al sistema pensionistico per le ricadute sulla tenuta delle casse previdenziali: evitiamo che il beneficio di una pensione anticipata si traduca in un’ulteriore penalizzazione delle generazioni future. E poi attenzione all’Europa: non scherziamo con proposte referendarie che porterebbero l’Italia sull’orlo di un baratro. Comunque la pensiamo su questa Europa, noi dobbiamo rimanere dentro l’UE e lavorare con determinazione affinché torni, con rinnovato slancio, alla sua originaria missione di civiltà.
Carlo Costalli
Presidente Nazionale MCL