Stare a casa! E’ questo il monito che sentiamo tutti i giorni da due mesi a questa parte. La nostra vita è sospesa, rintanati nelle nostre case, le città sono deserte, fuori è primavera ma al di là del rigoglio della natura tutto tace. Da lontano si ascolta la sirena della polizia, quella di qualche ambulanza nulla più. I ragazzi restano a casa, studiano e poi loro sono internauti, i bambini restano a casa, gli anziani quelli più fortunati restano nelle loro case, da soli, ma nelle loro case e sopravvivono lontani dai loro affetti… ma per strada no, non si può.
Per “stare a casa” una casa bisogna averla, per fare “lavoro agile” bisogna avere un lavoro, per fare la spesa bisogna avere in tasca i soldi necessari a comprare beni di prima necessità. In questa situazione, tra più fragili, e quindi a maggior rischio contagio, ci sono sicuramente anche i migranti e i richiedenti asilo. L’emergenza sanitaria sembra vada a braccetto con l’emergenza economica e i poveri, i fragili, pagano il prezzo più alto! Sono persone che abitano in condizioni insalubri e si nutrono male, che possono trovarsi costrette a rinunciare a cure necessarie perché non riescono a pagare le microtasse richieste per accedere ai servizi sanitari, o perché non hanno le risorse culturali per ottenere gli stessi servizi in modo gratuito, anche quando spetterebbe loro. Questa situazione emergenziale produce morti premature. A pagare questo prezzo sono i più fragili: chi già vive in condizioni precarie, con lavoro e reddito instabile, che facilmente è espulso dal sistema economico e precipita, in una deriva sociale, e si arena sul fondo della società, divenendo uno di quegli “scarti umani” su cui il Santo Padre ci ha ammonito da tempo. I migranti sono i più vulnerabili di tutti, sono stati tra i primi a perdere il lavoro.
L’allarme dell’impatto del contagio sulla vita e sui diritti dei cittadini stranieri deve essere lanciato con forza, con l’obiettivo di “spezzare il silenzio” su questo tema, ed evidenziare le criticità che in piena pandemia contraddistinguono la condizione dei cittadini stranieri in Italia. In particolare, l’attenzione è focalizzata sui richiedenti asilo, sui senza fissa dimora e sui braccianti ammassati negli insediamenti informali. Gli immigrati sono le persone prive di “effettiva tutela”, ai margini del sistema sanitario, senza i minimi strumenti di contenimento come mascherine, guanti, acqua e servizi igienici.
I migranti sono “oggettivamente impossibilitati a rispettare le misure previste dal legislatore, vivendo in luoghi che di per sé costituiscono assembramenti”. Una bomba sanitaria e sociale pronta ad esplodere, che si annida soprattutto nei Cas, i centri di accoglienza straordinaria, che a partire dall’introduzione del decreto sicurezza si sono trasformati in grandi contenitori, e hanno subito consistenti tagli ai servizi sanitari. Ma grandi assembramenti sono anche i centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) e gli hot-spot. Si stima che nei grandi centri di accoglienza, a metà marzo, erano ancora presenti più di 62 mila persone.
L’intero sistema di accoglienza italiano, così come è uscito dalla stretta del 2018 è diventato un potenziale, enorme focolaio di contagio. Una soluzione potrebbe essere l’accesso al Siproimi (ex Sprar) anche per coloro “che ne sono stati esclusi dal primo decreto sicurezza” (i titolari di permesso umanitario e i richiedenti asilo) e che le persone senza fissa dimora o che vivono negli insediamenti informali, e che lavorano soprattutto per l’agricoltura, siano accolte in strutture adeguate con acqua e servizi igienici. Oltre agli accolti, ci sono anche tutti i migranti che sono stati sostanzialmente espulsi dal sistema. Sono coloro a cui non è stato rinnovato il permesso perché godevano della protezione umanitaria, i cosiddetti ‘diniegati’, ma ci sono anche i minori non accompagnati che stanno diventando maggiorenni. Molte persone sono diventate e stanno diventando irregolari, ed è una cosa che in questo momento potrebbe avere conseguenze davvero drammatiche.
Il 25 marzo il Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno ha emanato una circolare con la quale chiarisce che la prescrizione dei termini prevista dal decreto "Cura Italia" vale anche per i permessi di soggiorno in scadenza tra il 31 gennaio e il 15 aprile 2020, che vengono prorogati fino al 15 giugno. Inoltre, oltre a dover affrontare il dramma sanitario, si è palesato un disagio burocratico, in quanto dal 9 marzo è stata disposta la chiusura degli uffici delle questure dedicati al rinnovo o al rilascio dei permessi di soggiorno. In questi uffici, i cittadini stranieri richiedevano direttamente i documenti, ad esempio per la protezione internazionale o il ricongiungimento familiare. Oggi l’emergenza ha interrotto il servizio, e queste persone trovano enormi difficoltà ad acquisire la ricevuta di presentazione della domanda. Un documento, tra l’altro, indispensabile per chiedere l’iscrizione al Sistema sanitario nazionale.
Tutto ciò, nel pieno di un’emergenza epidemiologica, si trasforma in un rischio per loro, ma anche per l’intera collettività”, sulla situazione dei migranti al tempo del coronavirus, appare quanto mai necessario “definire alcuni dei punti più urgenti che andrebbero affrontati per evitare che l’impatto del Covid-19 sia ancora più devastante. Sarebbe utile ed opportuno in questo momento, prorogare la validità dei permessi, per evitare rinnovi già scaduti al momento del ritiro. Lo stesso vale per i documenti di soggiorno di chi è in attesa di occupazione, che andrebbero estesi dai 12 ai 18 mesi. Siamo in presenza di una massa di irregolari prodotti dal decreto sicurezza, esposta al rischio del contagio più degli altri. Lo sono soprattutto i migliaia di migranti costretti a vivere ai margini della società in insediamenti informali, nelle città o in campagna. Luoghi in cui dominano precarie condizioni igienico-sanitarie e disagio abitativo.
Non esistono infatti disposizioni specifiche per queste persone nei decreti che vengono emanati da Palazzo Chigi. In tal senso si potrebbero allestire o requisire immobili” per accoglierli. Nonostante le carenze nell’azione delle istituzioni, in tutta Italia sono proprio sindacati e associazioni ad assumersi l’onere di prevenire il rischio contagio attraverso azioni finalizzate a distribuire mascherine, guanti e igienizzanti, nonché a consegnare beni di prima necessità ai migranti.
L’emergenza sanitaria evidenzia che il sistema dell’accoglienza diffusa, resta il più efficace per la gestione dei migranti, tale soluzione è stata più volte manifestata dall’Associazione lavoratori stranieri del MCL. Il coronavirus ha enfatizzato dei problemi che, ancora un volta, riguardano non solo i migranti, ma tutti i più deboli.
In questi stessi giorni, il Governo ha dichiarato con decreto che i porti italiani non sono sicuri e quindi li chiude. Ed è proprio in questo clima epidemiologico ci arriva un grido disperato di aiuto dal mare, ma c’è il Covid ed è pericoloso accogliere, colpa del virus: è per la loro salute, per il loro bene. Come a dire che per i profughi è probabilmente meglio rimanere a farsi torturare in Libia, o annegare in mare. Questa sembra essere l’opinione di un governo che non apre porti e braccia a qualche decina di profughi della nave Alan Kurdi davanti alle nostre coste, ma si sa, c’è il virus.
In Italia si calcola che oggi, anche grazie alle norme del decreto sicurezza, ci siano circa 600.000 immigrati irregolari: non possono lavorare né ottenere legalmente un alloggio. Oggi per queste persone sopravvivere è difficilissimo. Nello stesso momento i nostri campi hanno bisogno di manodopera stagionale: e si potrebbe sanare in qualche modo la loro posizione, a questo proposito, si potrebbe utilizzare il permesso di soggiorno per calamità, previsto proprio dal decreto sicurezza del precedente ministro dell’Interno. Si ignora l’esistenza degli immigrati irregolari, scarti a tal punto da non meritare neppure che ci si ricordi della loro esistenza; né sembra che siano presi in considerazione i danni alla salute che proprio i più poveri soffriranno a seguito di misure severamente restrittive dell’economia.
Intanto, mentre nella tragedia si vive un’altra tragedia, ignorando cosa ci succederà da qui in avanti, il mondo associazionistico è sceso in campo, offrendo il proprio supporto ai più bisognosi, attraverso azioni dirette e mirate ad arginare e contenere i disagi e le paure delle persone più fragili a volte invisibili.
Maria Rosaria Pilla
Presidente Nazionale Als-Mcl