Previdenza
Regolamentare in modo chiaro le procedure di certificazione
del diritto alla pensione maturata
Sviluppo della previdenza complementare
Il Governo ha presentato un documento con i contenuti della delega che qui si riassumono brevemente. Vengono confermati i cinque punti di orientamento:
1. certificazione del conseguimento del diritto alla pensione di anzianità al momento stesso della maturazione dei requisiti;
2. introduzione di sistemi di incentivazione di carattere contributivo che incentivino la continuazione dell’attività lavorativa;
3. liberalizzazione dell’età pensionabile;
4. eliminazione progressiva del divieto di cumulo tra pensioni e redditi da lavoro;
5. sostenere e favorire lo sviluppo di forme pensionistiche complementari.
Su questi orientamenti di massima non ci sono obiezioni.
Occorre ora vedere con chiarezza i principi e i criteri direttivi a cui il Governo dovrebbe attenersi per concretizzare le indicazioni sopra elencate.
Il lavoratore potrà decidere se proseguire l’attività lavorativa con le attuali regole previdenziali, oppure optare per un incentivo economico derivante dall’esenzione totale dei versamenti dei contributi, sia quelli a carico del datore di lavoro che del lavoratore che saranno destinati al lavoratore nella misura inferiore al 50%, mentre la parte rimanente dovrebbe essere destinata a riduzione del costo del lavoro.
Con tale scelta la pensione viene congelata al momento dell’opzione e rivalutata automaticamente in base al costo della vita. Al lavoratore che matura i requisiti per la pensione di anzianità verrà garantito l’ottenimento da parte dell’ente di competenza, della certificazione della propria posizione previdenziale, attestando il diritto al conseguimento della stessa e la possibilità per il lavoratore di esercitarlo in un qualsiasi momento successivo alla data di maturazione.
Le condizioni per l’opzione:
1. che il lavoratore si impegni a posticipare per almeno due anni l’accesso al pensionamento;
2. che il lavoratore e il datore di lavoro risolvano il contratto in essere e stipulino un contratto a tempo determinato di durata pari a due anni;
3. l’opzione è esercitabile più volte e dopo il primo periodo può essere esercitata anche per periodi inferiori.
- Si prevede la liberalizzazione dell’età pensionabile per coloro che abbiano conseguito i requisiti per la pensione di vecchiaia con l’applicazione degli incentivi, previo accordo con il datore di lavoro e salvaguardate le norme vigenti per quanto riguarda le disposizioni di legge vigenti in materia di pensionamento di vecchiaia per le lavoratrici.
- Superamento progressivo dell’attuale divieto di cumulo tra pensione di anzianità e redditi da lavoro dipendente o autonomo.
- Ridefinizione del trattamento previdenziale e aumento dei contributi per i lavoratori iscritti alla gestione commercianti presso l’Inps e per i lavoratori non iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria (vedi per esempio i Coordinati Continuativi), prevedendo che parte di questo aumento sia destinata a prestazioni di carattere sociale e formativo.
Previdenza complementare
Vengono previste delle misure per incentivare le forme della previdenza complementare con l’utilizzo del Tfr:
- conferimento del Tfr ai fondi di pensione; nel caso di silenzio assenso viene destinato ai fondi contrattuali;
- riduzione non inferiore ai 3 e non superiore ai 5 punti degli oneri contributivi dovuti dal datore di lavoro alle forme di previdenza pubblica nel caso di assunzione con contratto a tempo indeterminato di lavoratori privi di anzianità assicurativa, da destinarsi a diminuzione del costo del lavoro senza effetti negativi sulla determinazione dell’importo pensionistico (si mantiene ferma la aliquota di computo e lo sgravio viene posto a carico dell’Inps e compensato dallo Stato);
- per compensare lo smobilizzo del Tfr, si prevedono facilitazioni al credito per le piccole e medie imprese e la eliminazione del contributo relativo al finanziamento del fondo di garanzia del trattamento di fine rapporto, ad elevazione fino ad un punto percentuale del limite massimo dell’imponibile contributivo delle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali o di secondo livello;
- inoltre si prevede il riordino della disciplina dei fondi pensionistici, la riorganizzazione degli organismi di vigilanza e una serie di altre indizioni per la gestione dei fondi pensione, tra cui la disciplina fiscale della previdenza complementare per ampliare la deducibilità fiscale;
- si dovrebbero realizzare misure specifiche volte all’emersione del lavoro sommerso dei pensionati e completare il processo di separazione tra assistenza e previdenza.
Giudizio
Il nostro è come sempre un giudizio articolato. E’ sicuramente positivo che siano salvaguardate le pensioni di anzianità, non era affatto scontato, come è importante che non sia passato il passaggio al sistema contributivo, cosa non scontata e sulla quale abbiamo dovuto resistere nei confronti dei precedenti Governi su cui vi era il consenso della Cgil. Altro elemento interessante è che tutto il Tfr passi ai fondi contrattuali e che sulla riforma degli enti ci si sia impegnati ad aprire un tavolo di confronto con le organizzazioni sindacali.
Impresa e Responsabilità Sociale
Il libro verde sulla responsabilità sociale dell’impresa, che la commissione europea ha adottato nel luglio del 2001, descrive questo concetto come “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là, investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le parti interessate.
Il dibattito sulla responsabilità sociale delle imprese va collocato nel contesto della proposta della Commissione per una strategia europea in materia di sviluppo sostenibile approvata dal vertice di Goteborg nel giugno 2001: il messaggio di fondo è che crescita economica a lungo termine, coesione sociale e protezione dell’ambiente sono interdipendenti. Questo principio ha numerose implicazioni per i rapporti delle imprese con i dipendenti. Una gestione socialmente responsabile delle risorse umane, ossia una gestione sostenibile nei confronti della società generale, implica un impegno in direzioni quali l’apprendimento lungo tutto il corso della vita (formazione continua), la salute e la sicurezza, il migliore equilibrio fra lavoro, famiglia e tempo libero, le pari opportunità, la partecipazione agli utili e i programmi di azionariato per il personale.
Il Governo italiano dichiara di condividere (lo ha fatto attraverso il Libro Bianco), le indicazioni della Commissione Europea, auspicando che gli operatori economici italiani possano sviluppare una cultura orientata verso la “responsabilità sociale”. Proprio di cultura si tratta: coesione sociale anziché contrapposizione frontale, primato della persona anziché la mera logica di profitto, attenzione a favorire la crescita di uno spirito di comunità anziché al marcare le differenze.
Nel Libro Bianco del Ministro Maroni, si avanza la proposta di sperimentare codici di condotta di tipo volontario ma è difficile pensare che alcuni temi (ad esempio l’ambiente), vengano lasciati alle buone intenzioni degli operatori che, invece, sono invitati ad andare oltre le stesse norme di legge spesso insufficienti a garantire una reale tutela dell’ambiente.
Eppure una gestione delle imprese “socialmente responsabile” avrebbe un impatto diretto sugli utili, attraverso una maggiore produttività, minore ricambio di personale, maggiore disponibilità al cambiamento, maggiore innovazione, maggiore e più affidabile produttività.
Il principio interessa anche i rapporti delle aziende con il mondo esterno, a livello locale, nazionale, europeo e globale.
Altro concetto discusso è quello di “investimento socialmente responsabile” per cui i capitali vengono incanalati alle imprese che rispettano determinati criteri sociali anzichè le altre. L’ISR sta incontrando una crescente popolarità e costituisce potenzialmente uno strumento importante per promuovere la responsabilità sociale.
Il tema della responsabilità sociale dell’impresa ha forti ripercussioni sul mercato del lavoro.
Basterebbe pensare alle direttrici fondamentali della politica per l’occupazione dell’Unione Europea (i cosiddetti quattro pilastri dell’occupazione) definiti dal Consiglio europeo straordinario del Lussemburgo nel novembre 1997: nuova cultura imprenditoriale dell’occupazione, dell’adattabilità, delle pari opportunità. Come si vede l’impresa è fortemente chiamata in causa (non solo a richiedere perentoriamente la riforma dell’art.18), ad iniziare da una prospettiva d’innovazione che è il motore della crescita dell’impresa e dell’occupazione stessa. Inoltre un contesto altamente innovativo consente di creare posti di lavoro di elevata qualità.
Quale sia l’importanza che l’Unione Europea attribuisce alla innovazione nella prospettiva di un incremento dell’occupazione è dimostrato da diversi pronunciamenti comunitari ad iniziare dalla comunicazione della Commissione: “L’innovazione in un’economia basata sulla conoscenza” con l’indicazione di cinque obiettivi prioritari per l’azione pubblica ed il documento conclusivo del consiglio Europeo del marzo 2000 a Lisbona.
Le statistiche dei paesi membri dell’UE dimostrano come all’aumentare della forza lavoro con elevate conoscenze necessarie alle aziende che hanno avviato progetti innovativi, corrisponde una elevata creazione di posti di lavoro nel resto del sistema produttivo. Un fatto che sembra indicare che i settori ad elevata conoscenza non solo creano lavori che richiedono una formazione superiore, ma creano lavori per persone con più bassi livelli di formazione.
Ne deriva che una delle sfide maggiori che le imprese devono affrontare è di attrarre e conservare i lavoratori qualificati anche attraverso quell’attenzione a fattori più complessivi quali appunto quelli portanti della responsabilità sociale: buon rapporto con la comunità di riferimento, tutela della salute e buon ambiente di lavoro, cura del tempo libero, coinvolgimento nella gestione e partecipazione agli utili.
C’è però carenza di queste figure professionali, c’è un deficit di competenze che caratterizza i Paesi dell’Unione (e particolarmente l’Italia). Questo implica perdita di opportunità sia per le imprese che per i lavoratori. Le imprese non riescono a produrre quello che vorrebbero e nella misura in cui lo vorrebbero.
I lavoratori perdono opportunità di occupazione e di redditi addizionali in quanto non dispongono delle qualifiche necessarie. La perdita per la società è, dunque, secca.
Riguarda tutti. Senza maggiori dosi di formazione è illusorio pensare di poter risolvere il problema della disoccupazione. La via maestra per il pieno impiego passa attraverso una più elevata formazione oltre che una calibrata flessibilità. Non a caso la strategia per l’occupazione dell’UE fa della formazione il nucleo di tre dei quattro pilastri sui quali si articola. Proprio perché la formazione è essenziale, l’impresa deve contribuire a strutturarne l’offerta; non può limitarsi a cercare sul mercato le competenze di cui ha bisogno, ma deve fattivamente contribuire a formarle. Sia direttamente, se si tratta di grandi imprese, sia indirettamente, ossia tramite le proprie organizzazioni, se si tratta di PMI o imprese artigianali. Allo stesso modo il problema della formazione e l’altra faccia della medaglia, ossia l’innovazione, andrebbero posti tra le priorità dell’azione sindacale. Ciò in quanto se, come deve essere, la politica del sindacato è quella di un miglioramento quantitativo e qualitativo dell’occupazione, formazione e innovazione ne costituiscono due elementi di fondamentale importanza. Ne deriva che risulta fuorviante e limitativo ridurre la discussione (che pure va affrontata) alla flessibilità e all’art.18. L’Europa ci aiuta ad andare oltre, a non farci coinvolgere dalle eccessive pressioni, a ricordare che tutela dell’ambiente, crescita economica e coesione sociale, sono strettamente interdipendenti.
Economia Sociale di Mercato
come modello di società
L’economia sociale di mercato è un ordinamento sociale ed economico. Non pretende di invadere la sfera delle decisioni politiche, ma poiché, una parte essenziale della nostra vita trascorre nell’ambito di circostanze economiche e sociali quotidiane, ha anche una rilevanza politica.
Possiamo tentare di chiarire i contenuti dell’economia sociale di mercato partendo dalla domanda più semplice: che cos’è? Questo modo di abbordare l’argomento potrà sembrare troppo generico. Eppure non ce n’è un altro, se davvero vogliamo capire il sistema. Si ottiene uno scarso risultato partendo dalla terminologia che definisce il sistema come una economia di tipo libero con obiettivi e finalità sociali.
Questo insieme di parole suscitò sorprese nel momento in cui fu coniato, e cioè nel’46, epoca in cui il dirigismo economico aveva assunto un ruolo egemone anche in materia di sicurezza sociale. Sembra paradossale che qualcuno torni a vedere nell’economia di mercato, spesso volutamente denigrata a motivo di una sua asserita antisocialità, un ordinamento migliore, atto a soccorrere più vasti strati della popolazione. Adesso invece è pacifico che un’economia di mercato attuata cum grano salis, e resa stabile da un ordinamento realmente concorrenziale, può garantire il benessere.
Attraverso l’elaborazione concreta di interventi conformi alle leggi del mercato, e attraverso la redistribuzione dei redditi fatta dallo Stato mediante la sua politica finanziaria, il processo di socializzazione basato su un libero ordinamento diviene realtà. Tanto più che i benefici ricavabili dagli effetti della concorrenza costituiscono il fondamento economico di qualsiasi intervento sociale.
In questa luce, economia sociale di mercato non significa rinuncia da parte dei pubblici poteri, agli interventi sociali e sociopolitici. In Germania hanno potuto infatti realizzare un sistema completo di politica economica semplicemente coordinando gli interventi pubblici con le regole dell’economia di mercato, che ovviamente hanno bisogno di essere garantite.
La contiguità del nostro sistema con il neoliberismo è stata causa di qualche equivoco. Così è comprensibile: ma è inesatto considerare l’economia di mercato derivazione da quello. Non c’è bisogno di negare la contiguità con il neoliberismo; noi gli dobbiamo numerosi suggerimenti, spesso decisivi; ma rispetto ad una concezione che considera il meccanismo concorrenziale come unico principio organizzatore, l’economia sociale di mercato rivela ben altre radici. Esse vanno ricercate nell’humus di correnti antropologiche e filosofiche sviluppatesi negli anni venti, in una diversa concezione dello Stato ed infine nell’ulteriore sviluppo del concetto di “stile” , generalmente rifiutato dal neoliberismo (le funzioni coordinate dell’economia sociale di mercato non corrispondono affatto alle regole meccaniche della concorrenza; i principi strutturali si riferiscono allo Stato ed alla società, e da essi
mutuano i loro valori.
L’economia sociale di mercato non è dunque sistema esclusivamente concorrenziale; essa può semmai essere qualificata come una concezione globale dell’esistenza, nel senso che persegue un coordinamento tra i settori vitali del mercato, lo Stato ed i gruppi sociali.
La sua impostazione è perciò ad un tempo sociologica ed economica, statica e dinamica. Si tratta di una visione dialettica, in cui gli obiettivi sociali posseggono una loro importanza corrispondente a quelli economici, e che racchiudono quindi la politica economica e la politica sociale in un unico insieme.
Nella storia europea, da sempre le manifestazioni di responsabilità sociale hanno trovato nella fede il loro autentico spessore.
Nessun ordinamento sociale può fare a meno del sostegno d’una scala di valori quale presupposto del senso di responsabilità verso il prossimo. Invece il puro e semplice meccanismo del mercato, più che arricchire o addirittura sostituire la base dei valori, la svuota. E’ insostituibile la funzione della coscienza cristiana sul nostro agire sociale. Necessario appare, d’altra parte, accentuare l’autonomia dell’ordinamento strumentale nel quale tale coscienza è inserita. La società in cui viviamo è anche una società pluralistica, nella quale convivono cattolici e laici. Il suo ordinamento complessivo può ricevere contributi importanti da tutti questi gruppi. Il problema organizzativo di un ordinamento globale “liberale” consiste appunto nel fatto che in esso debbono coesistere diversi orientamenti.
Natura dell’economia sociale di mercato
Cosa significa quindi economia sociale di mercato, intesa come modello politico-economico e sociopolitico?
Si è già detto che si tratta di un ordinamento che accoglie dei valori, ma non ne impone, e che in questi limiti non ha un fondamento teologico. Essa rappresenta uno stile di comportamento che batte determinate e non altre vie per la soluzione dei problemi sociali.
Esaminiamo questa funzione in modo ancor più preciso.
La nostra società è un tutto, nel quale alcuni gruppi aspirano di più alla loro libertà, altri gruppi più alla loro sicurezza sociale e nella quale tutti gli individui sono interessati allo sviluppo, ma solamente nella misura in cui la sfera personale di ciascuno non ne risulti turbata in maniera eccessiva.
Quindi, come si usa di frequente nella teoria monetaria ed in quella del commercio con l’estero, possiamo parlare di un triangolo magico, i cui vertici sono rappresentati dagli obiettivi della libertà personale, della crescita economica e della sicurezza sociale. Obiettivi contrastanti, che hanno dato origine in passato ad una situazione di conflitto, per il fatto che ognuno cercava di realizzarsi a spese dell’altro. Ciò ha portato ad impostazioni estremistiche, di marca radical-liberale o radical-socialista, ed è sfociato o in una rigida difesa della tradizione, o nella commissione disordinata di tutti i principi, come avviene nelle politiche economiche dominate dall’intervento pubblico.
L’economia sociale di mercato non è una filosofia del fondamento dei valori della nostra società. Lascia questo compito al sistema normativo, che basa il proprio giudizio su criteri religiosi e filosofici. Essa è invece una guida alla pace sociale, una strategia irenistica in mezzo al conflitto che nasce dalla diversità degli obiettivi che le varie componenti della società desiderano realizzare. E’ una formula di vita, attraverso la quale si cerca di portare gli scopi essenziali della nostra società libera ad un equilibrio pratico, finora storicamente mai realizzato.
L’esperienza ha indicato come questo programma, facile ad enunciarsi, presupponga invece una concezione assai raffinata dell’ordinamento. L’economia sociale di mercato è anche una formula riconciliante e integratrice, attraverso la quale si cerca di portare le principali forze sociali ad una forma di autentica cooperazione.
La situazione conflittuale della nostra società non deve essere più vista come una tensione statica, alla quale si possa ovviare con un tipo di coordinamento “una tantum” fra economia di mercato e sicurezza sociale. La nostra società è sottoposta a continue trasformazioni storiche ed esige che si ricerchino, ogni volta ex novo, le formule dell’equilibrio irenistico che si vuol conservare e tramandare.
L’economia sociale di mercato è quindi una strategia di governo della società.
L’essenza dell’economia sociale di mercato consiste nel ricercare, al di là di una politica conservatrice, capace solo di tramandare i valori del passato, o di un dirigismo economico, atrofizzatore della libera iniziativa; ed anche al di là di una meccanica di mercato non guidata e non controllata, un assetto sociale in cui tutti gli obiettivi confliggenti trovino un punto di equilibrio, il più realistico possibile.
La formula riconciliante ed integratrice dell’economia sociale di mercato è applicabile sempre e comunque. Ma essa risulta particolarmente feconda nella nostra epoca e nella nostra società, nelle quali il ritmo straordinariamente accelerato del progresso in tutti i settori rende praticamente obbligatorio contemperare le esigenze in contrasto. Il valore della formula è stato confermato dalla nostra esperienza.
Sì, è fondamentalmente possibile convogliare la moderna società di massa nell’alveo di un sistema di libertà.
Con ciò non si stacca un biglietto per un viaggio a tempo indeterminato, ma si indica la strada lungo la quale dobbiamo procedere. Lo scopo è di rendere tollerabili alla società di massa le inquietudini di questa epoca di profondi cambiamenti, e anche di metterla in condizioni di raccogliere i frutti di tanto sviluppo.
Obiettivi politico-sociali dell’economia di mercato[/b][/center]
[justify]Come formula riconciliante, come unità “stilistica”, l’economia sociale di mercato non suppone solamente un sistema economico coordinato ad una logica di mercato.
L’aggettivo “sociale” ci avvisa che il sistema persegue obiettivi di natura sociopolitica. L’importanza di questo elemento non fu messa sufficientemente alla luce nella prima fase di attuazione dell’economia sociale di mercato in Germania. Si constatarono anzi, con sorpresa, gli effetti sostanzialmente positivi di un ordinamento concorrenziale, e per il resto si contentò di attribuire alla parola “sociale” un significato ristretto, simile a quello che aveva avuto in passato, di intervento assistenziale a favore di determinate categorie di non abbienti. Sembra però che sia arrivato il momento di riportare in primo piano, accentuandolo come merita, l’obiettivo sociopolitico dell’economia sociale di mercato. Via via che il tenore di vita di vastissimi strati della popolazione s’innalza, il quadro si modifica. I gruppi che avanzano le istanze più urgenti si raccolgono in determinate categorie. Il panorama sociopolitico cambia nella misura in cui viene risolto il primario problema della cosiddetta democratizzazione della domanda qualitativa di beni (le barriere fra tipi di consumo dovuti alle differenze di classe vanno scomparendo).
La piena occupazione è ormai quasi una realtà per paesi europei, e siamo ormai in un regime di assistenza sociale generalizzata. Ma proprio mentre arriva obiettivamente a soluzione il problema della povertà, merito dell’ordinamento economico da noi scelto, si è diffuso nell’opinione pubblica uno strato di disagio e di irrequietezza. E per quanto illogiche possano essere certe sue manifestazioni, il fenomeno è reale e ci invita a riflettere meglio sulle questioni di fondo della nostra società, che ha sì tratto enormi vantaggi dalla piena occupazione, ma è ancora lontana da un assetto di vero equilibrio. Lo sviluppo tecnologico e le trasformazioni strutturali della nostra economia contribuiscono anch’essi a distruggere le forme sociali del passato, e ci ricordano la necessità di trovare sintesi nuove.
Qual è dunque il modello sociopolitico dell’economia sociale di mercato? E’ sicuramente erronea l’opinione professata dal vecchio liberalismo, secondo cui un’economia di mercato sarebbe di per sé il surrogato di una politica, perché configurerebbe un quadro completo delle posizioni sociali e delle relazioni interpersonali. Indubbiamente il mercato può essere un mezzo indispensabile per coordinare e sincronizzare le attività e i progetti dei singoli individui e delle imprese. Il coordinamento può anche avere un effetto positivo nella misura in cui contribuisce a oggettivizzare le relazioni interumane e ad aumentare i conflitti sociali, e la concorrenza può certo limitare le posizioni monopolistiche e contributive alla crescita dei salari di vasti ceti sociali. Ma essa rimane un processo meccanico, indifferente rispetto ai valori degli obiettivi. Noi dobbiamo sostenere i processi del mercato con un’ attività politica congiunturale e di sviluppo: ebbene, questo vale ancor più per il modello politico-sociale, che però può essere promosso e sviluppato solo a partire da obiettivi e valori supremi. L’economia sociale di mercato può contribuire alla realizzazione del modello politico-sociale in questo senso: essa è una tecnica al servizio della politica sociale prescelta; ci spiega come raccogliere sotto un comune denominatore obiettivi tra loro divergenti. Dopo una prima fase (che si estrinsecò nella ricostruzione economica e in una felice impennata verso un più elevato tenore di vita ed un miglioramento delle condizioni generali) l’economia sociale di mercato è entrata ormai in una seconda fase, nella quale, pur portando avanti quello che è stato cominciato, deve rileggere tutti i problemi in una chiave globale.
Secondo il nostro convincimento, noi dovremmo, al termine di un attento studio, far sì che questa fase conceda assoluta priorità agli obiettivi sociopolitici, approfittando del fatto che i problemi economici più angosciosi sono ormai risolti o si prevede che lo saranno grazie alla crescita produttiva degli anni a venire.
Quali considerazioni si possono fare già adesso su questo argomento? Come abbiamo detto più su, l’economia sociale di mercato può essere paragonata ad un triangolo che modera la tensione esistente fra i suoi vertici: necessità di sviluppo economico, bisogno di libertà e di iniziativa personale, esigenza (individuale e collettiva) della sicurezza sociale in ogni suo aspetto.
Quando si parla di una direttrice sociopolitica dell’economia sociale di mercato, non vogliamo affatto progettare un ordinamento di tipo razionalista o fideista, socialista o liberale.
Negli ultimi secoli ci siamo occupati anche troppo di simili modelli teorici, i quali, nel confronto con la pratica, anche se non hanno perduto il loro splendore e la loro attrattiva, hanno però smarrito la loro efficacia. Facciamo riferimento, invece, alla realtà concreta. Essa è un intreccio di relazioni, di condizionamenti da parte di gruppi numerosi e di interessi particolari, di conflitti, di consonanze. Compito della politica sociale deve essere quello di fornire alla società una formula integratrice che pur non promettendo un superamento totale e definito di divergenze, conflitti, contrasti, intervenga tuttavia in modo costruttivo per imbrigliare efficacemente le tensioni e per offrire una piattaforma ragionevole alla vita collettiva. Presa sul serio, questa idea mi sembra molto vicina all’altra, che abbiamo sperimentato valida nei decenni scorsi: la contraddizione esistente fra progresso economico e progresso sociale è solo apparente e comunque non insuperabile.
Il modello dell’economia sociale di mercato si rivolge all’intera società. Si deve quindi cercare di conciliare i problemi alla ribalta della politica quotidiana con una visione più organica e globale. Certamente vi sono questioni che interessano in particolare i ceti medi, gli agricoltori, gli operai, ma noi non possiamo perdere di vista quelle che riguardano tutti e, che abbracciano la società con un uniom. A questo proposito si vuole ribadire che anche in una economia di mercato di tipo molto aperto le condizioni sociali ed ambientali medie possono essere migliorate con l’intervento pubblico, inteso nel senso più ampio dell’espressione. La funzione pubblica si esprimerà attraverso la politica finanziaria, gli investimenti, la creazione di infrastrutture determinanti in rapporto all’attività economica. L’inquinamento dell’ambiente naturale, il sovraffollamento delle nostre città, la distruzione del paesaggio a causa di uno sviluppo disordinato, sono piaghe da combattere con uno sforzo che deve essere sostenuto e guidato da tutti gli enti pubblici territoriali e dalla società intera, se si vuole recuperare un equilibrio armonico tra progresso e qualità della vita.
Il settore degli “investimenti culturali”, nella più vasta accezione del termine, ha bisogno di promozione intensa. Nella misura in cui l’assistenza sociale diventa meno impegnativa nei confronti di ceti sociali emergenti, la nostra politica dovrebbe rispondere all’imperativo categorico di programmare, accanto all’imponente crescita della produzione e dei consumi, anche un miglioramento delle condizioni generali dell’esistenza.
Se tutto ciò non viene interpretato come una professione di fede puramente formale, ma accettato come una proposta operativa, una politica di tal genere dovrà essere integrata da provvedimenti a favore di particolari gruppi e categorie di cittadini. In via di principio non si dovrebbero creare zone e ambiti speciali all’interno della società, ma converrete con me che la convinzione secondo cui la libera concorrenza, da sola, sarebbe sufficiente a promuovere il benessere del ceto medio o dei contadini è altrettanto erronea quanto l’opinione che la politica sociale si debba esaurire nella difesa di tali gruppi. L’economia sociale di mercato è perfettamente compatibile con l’adozione di misure compensative capaci di assicurare il movimento di determinanti ceti verso posizioni più adeguate.
Questo nel caso che settori come l’agricoltura e l’industria, risultino esposti in modo particolare ai contraccolpi della dinamica economica, o soccombenti di fronte alla concorrenza di prodotti alternativi o di mercati più ampi.
Nell’economia sociale di mercato dobbiamo fare sempre buon viso al progresso economico e tecnico, ma anche tener presente la necessità di favorire, mediante supporti finanziari o facilitazioni ricche di idee, i quali, pur senza rinnegare i fondamenti del sistema, vogliano tentare di ridurre le tensioni sociali, caratteristiche di questa nostra epoca di transizione.
Ed ancora! Una politica sociale non deve semplicemente richiamarsi ad un modello ideale che dica quale forma a lungo termine, si debba imprimere alla società nel suo complesso.
Essa deve nello stesso tempo tenere sotto esame i processi di trasformazione costantemente in atto, e trovare il giusto mezzo tra un atteggiamento ostile a qualsiasi trasformazione e il suo contrario. Dovrà dunque sforzarsi di pilotare i processi evolutivi che si possono ragionevolmente prevedere, e ciò allo scopo di fare in modo che abbiano luogo tensioni insopportabili.
La politica sociale deve riservare, inoltre, particolare attenzione alla difesa di un tessuto quanto più ampio possibile, di piccole e medie imprese indipendenti, ed anche al progressivo emergere di singole personalità all’interno dei gruppi di operai e di impiegati.
Oggi sempre più spesso si deve parlare di pregiudizi e spesso salta agli occhi la diffidenza di alcuni circoli culturali ed economici che al solo sentire parlare di economia sociale di mercato, arricciano il naso e scoprono vecchie crociate anticattoliche, nel mentre, sotto un nobile scudo concettuale, finiscono col difendere soltanto gli interessi concreti di pochi.