Con la riedizione del “Mattarellum”, l’ex premier Renzi, come ha scritto Massimo Franco, tenta di ritornare indietro di 23 anni. L’arroccamento leaderista di Renzi appare in continuità con l’Italicum, legge sulla quale il governo aveva a suo tempo posto il voto di fiducia: tutte e due sono ritagliate su una realtà ormai inesistente, quella di un bipolarismo che tutte le ultime elezioni hanno nettamente cancellato dallo schema politico.
La fine della stagione bipolare in Italia ha coinciso con lo svilupparsi di una deriva antisistema che, prendendo a prestito gli effetti negativi della crisi economica iniziata nel 2008 e della globalizzazione, ha fatto crescere movimenti politici di protesta sul piano interno e neonazionalisti sul piano internazionale. Il rischio reale è che l’ampliarsi del consenso di questo populismo abbia l’effetto di indebolire ulteriormente la governabilità senza produrre una alternativa politica e, soprattutto, essere all’altezza delle nuove sfide che si presentano: dal fenomeno immigratorio al potere incontenibile della finanza speculativa, dalla grande questione del lavoro all’impoverimento dei ceti popolari e medi. Nel tempo della minaccia terroristica, la democrazia si rinsalda con il consenso e cioè con l’esaltazione delle ragioni della convivenza e della giustizia sociale e delle loro radici storiche e culturali.
Al bipolarismo dello schema partitico si va sostituendo un bipolarismo tra quelle forze politiche che si schierano per la tenuta e il rafforzamento del sistema e quelle antisistema. Come spesso è accaduto nella storia la sollecitazione di carattere rivoluzionario riesce a prevalere non per sua forza, ma per la debolezza e la crisi dell’ordine esistente.
Il quadro politico italiano, dunque, rientra in questo schema generale e le forze politiche hanno la necessità di rafforzare il sistema democratico come capacità di governo, basata, però, su una rappresentanza reale.
Il confronto sulla legge elettorale deve tener conto di tutto ciò. Il sistema politico italiano deve respingere la tentazione di avventurarsi verso una verticalizzazione del potere che ne aumenterebbe debolezza e fragilità. E’ stato questo il messaggio scaturito dal risultato del referendum su riforme costituzionali che, in ultima analisi, riducevano la rappresentanza della volontà popolare. Il voto, mostrando una domanda di maggiore partecipazione e di tutela del rapporto di rappresentanza, mette in obbligo di operare in questa direzione, escludendo la ricorrente tentazione di regole elettorali ritagliate sulla convenienza momentanea di parte.
Antonio Polito, vicedirettore del Corriere della Sera, ha scritto che è “finita la stagione” della politica “fondata sul leaderismo, tenuta in piedi dal maggioritario, ingessata in due coalizioni, nutrita dello strapotere della tv”. Anche una parte dell’establishment italiano che aveva sostenuto l’ex premier e che adesso sembra voltargli le spalle, ha preso consapevolezza che le leggi maggioritarie non sono in grado di assicurare la governabilità.
Ci si sta rendendo conto che la prossima legge elettorale non può costruirsi su coalizioni obbligate per vincere e non in grado di governare; su premi in seggi che trasformano in finte maggioranze le minoranze reali; su imposizioni di candidature con liste o candidati di collegio solo ratificabili da un voto che non sceglie; su ballottaggi che diventano sfogatoi del voto a dispetto.
Le nuove regole del voto sono chiamate ad un compito essenziale: come ha scritto il direttore di Avvenire quello di “restituire agli elettori il potere di scegliere gli eletti e consentire di rappresentare davvero e secondo giusta proporzione la realtà italiana”. Solo partendo da questa rappresentanza reale si potranno comporre accordi politici, programmi condivisi, alleanze stabili di governo. Una governabilità forte perché basata su grandi numeri, cioè su un consenso maggioritario.
E’ il ritorno del tempo della politica ed essa mostra che, in Europa, la stabilità e la forza di governo possono risiedere in Paesi ove il sistema elettorale è quello proporzionale corretto. Si hanno governi, come in Germania, che trovano nella normativa costituzionale un supporto alla governabilità attraverso il principio della sfiducia costruttiva. E’ l’esempio di una riforma costituzionale realmente necessaria.
Al punto in cui sono giunte le cose, l’approvazione di una legge elettorale con “un consenso generale” o “ più ampio della maggioranza governativa”, come ha detto Mattarella, significa anche il rifiuto di andare al voto con regole “qualunque esse siano” o per tentare di ricostruire leadership azzoppate. Il pressapochismo normativo sulle leggi elettorali si rivela scorciatoia senza esito. O la politica ritrova le sue ragioni fondamentali, oppure dovrà subire una deriva antisistema o di carattere tecnocratico, che la esproprierebbero.
Pietro Giubilo