L’allarme lanciato in questi giorni da Save The Children evidenzia, inequivocabilmente, una realtà scolastica, quella italiana, avvolta in un declino strutturale che, già prima del Covid, stava compromettendo la qualità dell’offerta formativa e, di conseguenza, la struttura stessa della nostra società.
I continui ridimensionamenti della spesa scolastica hanno sicuramente lasciato il segno.
L’incremento della dispersione scolastica e della povertà educativa sono i dati che maggiormente ci devono preoccupare in quanto rappresentano vere e proprie ferite destinate a condizionare negativamente la prospettiva di una società che sempre di più, per crescere qualitativamente, deve distinguersi basandosi sulla qualità di un tessuto scolastico all’avanguardia.
Negli 8 miliardi di investimenti dichiarati ci sono state poche assunzioni di personale scolastico e non c’è chiarezza sugli aspetti legati alle formalità: troppi i punti interrogativi e troppe incertezze. Soprattutto troppi proclami, a dismisura. Ci si è concentrati sui banchi girevoli dell’Azzolina e fin troppo si è discusso sulle percentuali di riempimento dei bus scolastici, utili a definire un minor impatto economico dei trasporti per le Regioni ma, ancora una volta, l’elemento economico ha acquisito predominanza sul valore educativo e strategico che dovrebbe costituire l’essenza della scuola all’interno della società.
La ripartenza della scuola determina tre grandi ordini di effetti.
Il primo: dal punto di vista dei ragazzi si tratta di ravviare una vita scolastica, sociale ed educativa che da marzo è stata interrotta. La scuola è un collante sociale tra famiglia e lavoro. Fare scuola significa fare comunità educante, combattere il rischio dell’isolamento che ha caratterizzato questo periodo di lezioni virtuali, dare una dimensione umana, invece che solamente tecnologica.
Il secondo riguarda l’aspetto scientifico e scolastico, in cui si inserisce l’apprendimento vero e proprio.
Il terzo: l’apertura della scuola rappresenta un traino anche economico. Pensiamo all’indotto della scuola, rappresentato da mense, pulizie, trasporti. Non dimentichiamo inoltre la famiglia, e in particolare i genitori che, con il ritorno dei figli a scuola, possono riprendere il proprio lavoro. Lo smart-working non è la soluzione alle problematiche, non tutti i lavori si possono fare con lo smart-working e non siamo ancora un Paese pronto a questo tipo di cambiamento nel mondo del lavoro.
Carlina Valle