Alla fine l’accordo è arrivato. Non poteva essere altrimenti. La posta in gioco questa volta era alta. Si trattava di verificare se ciò che è oggi l’Unione Europea fosse capace di affrontare una crisi epidemica che rischia di diventare una crisi sistemica. Più che un accordo, per ora è un compromesso che, come è giusto che sia, vede accogliere le ragioni di tutti, se pur con qualche sacrificio nominalistico e di contenuti.
Qualche commento ha chiarito che si tratta di un accordo a quattro gambe: Mes a condizione basse, piano Sure, Bei e Fondo per la ripresa. Soprattutto il primo e l’ultimo hanno presentato il contenzioso più difficile da sbrogliare e non è detto che sia stato chiarito tutto.
Rimangono da precisare punti importanti perché, soprattutto in una Europa che non si fa mancare nulla nei Regolamenti, non è solo un modo di dire che il diavolo si nasconda nei dettagli. Che potrebbero non essere poca cosa. Qualche esempio: contenuti e sospensione delle condizionalità del Fondo salva Stati, ma anche la sua approvazione che era stata rinviata anche per le osservazioni dell’Italia; tempi e contenuti del Fondo per la ripresa.
Precisazioni, contenuti e validità dell’accordo che dovranno affrontare due verifiche successive: quella politica e quella della condizione reale dell’Europa quando dal controllo dell’epidemia, si passerà alla salvaguardia del suo sistema economico e sociale e il suo sviluppo.
Il passaggio “tecnico”, seppur autorevole e seguito dai governi, dovrà, infatti, lasciare la parola definitiva al Consiglio europeo, si auspica con ulteriori miglioramenti, forse con qualche verifica nelle sedi parlamentari dei singoli Stati. La necessità di mettere in primo piano l’interesse generale dell’Europa e raggiungere il massimo della solidarietà tra gli Stati, dovrebbe evitare che si presentino sorprese. In passato accordi ancor più rilevanti per l’unità europea (CED - Costituzione) furono fatti saltare per qualche egoismo nazionale.
Sarà poi la realtà sulla quale pesano tante incognite a dimostrare la validità degli strumenti messi in atto. Con la consapevolezza che anche il salvagente della BCE, vero argine alle insidiose speculazione dei mercati che pesano soprattutto in Paesi come l’Italia, rappresenta un fattore importante, ma contingente, mentre restano da affrontare e risolvere questioni strutturali del sistema europeo.
Nel complesso, comunque, l’Europa, con qualche esitazione e divisione, mostra di voler affrontare il momento più difficile del suo cammino di unità. Come anche la esigenza di rafforzarne il carattere e il peso politico. E questo è ciò che conta di più, cioè il vero e positivo significato dell’accordo.
A parte qualche egoismo di troppo e puntigliosità formalistica dell’Olanda che ha guidato la resistenza del nord agli eurobond e, di conseguenza, a una solidarietà che si vuole “condizionata”, non fanno bene all’Europa, soprattutto, la diffusione, per fortuna limitata, di stereotipi falsi e tendenziosi nei riguardi del nostro Paese che sono circolati anche in questi giorni tragici in alcuni media di qualche Capitale. Diciamola tutta: l’Italia sta in Europa a testa alta. A prescindere dalla capacità politica degli ultimi governi, certo non esaltante, Il suo apporto è stato determinante quando nacque negli anni ’50 e lo è tutt’ora. Sempre nella direzione più giusta, anche quando altri Paesi si sottraevano rispetto al disegno unitario, pensavano a politiche estere proprie a danno di altri, in nome della grandeur o, magari, dando vita ad assi preferenziali, inseguivano aree di influenza o ritenevano di ridurne il disegno a zone di libero scambio. In questo occasionale defilarsi dall’Europa, nella storia di questi settanta anni troviamo tutti, meno che l’Italia.
Ci attendono giorni difficili, anche grandi sacrifici. I cittadini europei e, per quanto ci riguarda, gli italiani sapranno affrontarli. Questo è, poi, ciò che è più necessario e importante.
Pietro Giubilo