“Liberare la libertà” non è uno slogan del Sessantotto, ma potrebbe candidarsi a diventare il manifesto del nuovo riformismo dinanzi all’avanzata tambureggiante dei populismi, dei sovranismi e dei neostatalismi.
“Liberare la libertà” è il titolo di un libro che raccoglie gli scritti su fede e politica di Benedetto XVI. Un testo impreziosito dalla prefazione di Papa Francesco. Ma non è di questo libro che vogliamo parlare, anche se ne è consigliabile una lettura, soprattutto a chi si è ubriacato con la moltiplicazione all’infinito dei diritti che ha contribuito, come suggerisce lo stesso Ratzinger, alla distruzione dell’idea stessa di diritto. Fino all’estremo del “diritto nichilista dell’uomo di negare se stesso: l’aborto, il suicidio, la produzione dell’uomo come cosa diventano diritti dell’uomo che al contempo lo negano”. Un processo che separando progressivamente l’idea dei diritti umani dall’idea di Dio “non conduce solo alla marginalizzazione del cristianesimo, ma in fin dei conti alla sua negazione”.
Se questo è il nucleo della riflessione di Ratzinger, resta per tutti, credenti e non credenti, il fascino di quel “liberare la libertà” che di per sé è un orizzonte di senso in un mondo sempre più dominato da vincoli e slogan che rispondono a contrapposte idee di mondo. Basti pensare allo scontro in atto in Occidente fra democrazia liberale e sovranismi, fra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, fra peso di finanza e mercati e incidenza della volontà popolare, fra modelli di sviluppo tardo capitalistici e irruzione dell’economia digitale, fra robotizzazione del lavoro e difesa del lavoro umano. Un elenco solo sommario che ci restituisce la complessità del nostro tempo, alla quale sempre più spesso si danno risposte di un semplicismo disarmante che scontano soprattutto l’ingenuità, la disperazione, la paura, il diffuso e preoccupante deficit di conoscenza delle classi popolari.
Ecco perché un’espressione come “liberare la libertà” ha un grande potenziale per chi volesse interrogarsi sui percorsi di un moderno riformismo capace di contendere il consenso sociale ai populismi e ai sovranismi rampanti e aggressivi. E pure ai pensieri e alle prassi ingessate della sinistra e della destra europee che conosciamo. Quanta aria di libertà, infatti, si respira in Europa? Domanda non priva di senso in un contesto continentale costruito soprattutto su regole finanziarie e di bilancio oltre che su una legislazione talvolta asfittica nella sua inconcludente minuziosità.
Se guardiamo all’Europa possiamo affermare, senza tema di smentita, che l’unica libertà di cui i popoli hanno avuto effettiva esperienza è stata quella della circolazione delle persone. Pensiamo all’esempio mille volte citato dell’Erasmus che ha consentito a milioni di giovani europei di studiare in altri Paesi e apprendere, nel migliore dei casi, il significato della cittadinanza europea. Ma ora sappiamo che anche questa libertà, complice l’uscita della Gran Bretagna e le paure seminate dall’immigrazione, sembra appannarsi.
Eppure, abbiamo la sensazione che proprio “liberare la libertà”- che non vuol dire scatenare gli spiriti animali del mercato quanto piuttosto fare leva sulla capacità di persone, comunità e popoli di autodeterminarsi nella loro capacità di pensare, credere, progettare e realizzare - sia la via di uscita per le famiglie politiche europee (popolari e socialisti) oggi in affanno. In particolare la famiglia del popolarismo, proprio per la sua tradizione di difesa delle libertà democratiche (individuali e sociali), dovrebbe essere protagonista in questo processo. Tornare a riflettere sugli spazi effettivi di libertà di persone, comunità e popoli, significa non solo rafforzare i corpi intermedi che della democrazia rappresentativa sono i pilastri, ma soprattutto confermare la propria adesione al progetto fondativo dell’Unione europea: costruire una comunità di popoli che facendo leva sulla libertà, garantiscono una stagione di pace e di sviluppo. Ma a condizione che la libertà (non l’anarchismo, non il decisionismo dei Grandi, non l’egoismo dei singoli) diventi il vissuto di tutti. E questo non è poco, nel tempo delle grandi paure e del bisogno di rassicurazione cercato nella vecchia struttura rassicurante dello Stato. Quello Stato, una volta considerato la fonte di tutti i guai (“piove Governo ladro”) e oggi percepito come l’unico rifugio dalle masse dei perdenti e degli scartati e al quale sacrificare quote crescenti di libertà in cambio della sicurezza.
Se l’Europa non sarà quella degli Stati forti, ma dei popoli liberi, molto dipenderà dalla capacità dei popolari europei di “liberare la libertà”.
Domenico Delle Foglie