C’è una griglia efficace con la quale i cattolici possono passare al setaccio le politiche correnti. L’ha offerta Papa Francesco nel messaggio inviato a Caltagirone, ai partecipanti al convegno internazionale per il Centenario dell’Appello di Luigi Sturzo “A tutti gli uomini liberi e forti”.
Il Papa non solo ha denunciato “la grave crisi antropologica” nella quale versa l’Italia, ma ha voluto rilanciare “i punti-cardine dell’antropologia sociale sturziana”. Una traccia che, di per sé, indica un criterio di giudizio rispetto alle diverse opzioni politiche che oggi si fronteggiano in Italia. Purché lo si faccia “uniti e insieme”.
Innanzitutto “il primato della persona sulla società, della società sullo Stato e della morale sulla politica”. Tre vincoli spesso assenti nei programmi di partiti e movimenti. Con evidenti slabbrature nella prassi politica quotidiana. Basti pensare alla mancata valorizzazione, se non addirittura alla delegittimazione dei corpi intermedi, in un processo di disintermediazione che sembra non aver mai fine. Per non parlare della crisi morale che investe istituzioni fondamentali dello Stato, vedi lo scandalo che ha coinvolto un organismo prezioso come il Consiglio superiore della magistratura.
In secondo luogo “la centralità della famiglia”, dai cattolici italiani ribadita a gran voce per decenni e concretamente sottovalutata, se non svilita. Ricordiamo, ai più distratti, che la scelta di trascurare la famiglia ha innanzitutto una ragione culturale che affonda le radici nei processi di relativizzazione e di individualismo esasperati. Sommovimenti che hanno coinvolto tutto l’Occidente e che non potevano risparmiare l’Italia. Così come non basta considerare la famiglia un semplice soggetto economico o un puro ammortizzatore sociale. In ogni caso, l’approccio alla famiglia non può e non deve essere guidato da logiche di contrasto e di opposizione. La famiglia, infatti, è un bene di tutti.
Terzo elemento largamente trascurato: “la difesa della proprietà con la sua funzione sociale come esigenza di libertà”. Sempre meno questo criterio trova spazio nel dibattito pubblico. Anzi, si manifestano prepotenti torsioni stataliste e assistenzialistiche. Mentre sul piano sociale la proprietà gode di cattiva reputazione, considerata sempre più come un indice di disonestà. Quasi valga per tutti e indistintamente il motto di Honoré de Balzac, secondo cui “dietro ogni grande fortuna c’è un crimine”. La proprietà è purtroppo associata, a torto e/o a ragione, ai fenomeni del privilegio e dello sfruttamento da parte delle classi dirigenti nei confronti dei poveri e delle classi subalterne. Da qui un soffiare sul fuoco del rancore sociale che divampa soprattutto nelle fasi di decrescita e di recessione, a cui contribuiscono in mille forme attori diversi. Non solo i professionisti dell’odio, ma anche gli accaparratori di ricchezze con i loro egoismi sbandierati e la loro irresponsabilità sociale.
Altro caposaldo: “l’importanza del lavoro come diritto e dovere di ogni uomo”. Criterio indicato da Sturzo nel 1919, ben 30 anni prima della Costituzione italiana che ne ha fatto un cardine della nascente Repubblica. Il che dimostra la straordinaria capacità del sacerdote siciliano di interpretare il bisogno sociale del suo tempo e di quelli che seguiranno. Questione, quella del lavoro come diritto e dovere di tutti, che non è affatto risolta e che da sola meriterebbe un impegno infaticabile dei cattolici. Chi opera sulla frontiera della dignità del lavoro sa bene quanto la mancanza di occupazione incida non solo sul benessere individuale e delle famiglie, ma quanto spinga i singoli i gruppi e le comunità a cercare scorciatoie pericolose o a seguire i pifferai magici del momento, che sarà bene ricordarlo, portano diritto al burrone.
Infine “la costruzione di una pace giusta attraverso la creazione di una vera comunità internazionale”. Questa dovrebbe essere una missione prioritaria, ma nel momento in cui tutto si misura sui parametri economici e non su quello essenziale della pace, è evidente che si corrono grandi rischi di nuovi conflitti. Occorre, perciò, che tanto la politica quanto i diversi soggetti sociali conservino una lucida razionalità in grado di garantire la pace alle generazioni future. A noi è stata donata, a noi il compito di garantirla ai nostri figli e nipoti.
In conclusione, se Papa Francesco attribuisce all’antropologia sociale sturziana un ruolo di cura per “la grave crisi antropologica” dell’Italia, non resta che rimboccarsi le maniche. A tutti noi spetta il compito di trovare le strade per un “impegno creativo e responsabile dei cristiani”, dentro e fuori la società, dentro e fuori la politica, dentro e fuori lo Stato, dentro e fuori le istituzioni, dentro e fuori i luoghi di cultura, dentro e fuori i media tradizionali e i social media, dentro e fuori i territori.
Nessuno può dire onestamente se il convegno di Caltagirone sia stato un nuovo inizio per il cattolicesimo politico. A dar retta ai silenzi dell’informazione italiana, fatta salva la dovuta attenzione dei media cattolici, sembrerebbe di poter liquidare quello di Caltagirone come l’ennesimo convegno “a perdere”, nonostante il forte impegno messo in campo da alcuni settori sociali del mondo cattolico. Staremo a vedere, anche se noi non condividiamo certi giudizi tranchant e impazienti. Piuttosto, noi siamo certi che la diaspora dei cattolici italiani, innanzitutto dalle urne come dimostrano i sondaggi, non possa durare in eterno. Forse manca ancora la capacità di tradurre in proposta politica la forza mite ma tenace di quella antropologia sociale. Anche perché quando tutti urlano, si fa fatica a udire la foresta che cresce. Ma i primi a crederci dobbiamo essere noi: cattolici, moderati, riformisti, liberali e popolari. Anche perché il vuoto politico è destinato inevitabilmente a essere riempito. E i cattolici devono farsi trovare pronti, anche rischiando qualcosa in più.
Domenico Delle Foglie