C’è una grande risorsa nel nostro Paese, una risorsa strategica in un frangente difficile e doloroso come quello a cui ci costringe il COVID-19, e questa risorsa è il terzo settore. Il terzo settore, attraverso tutte le sue variegate articolazioni, pone al centro della propria vocazione le relazioni, personali e sociali, un aspetto cruciale in un momento di relazioni forzatamente negate. Allo stesso tempo il suo essere prossimo alle persone, grazie alle tante espressioni che danno voce e vita al territorio, permette di accompagnare e di rispondere ai bisogni delle comunità dando valore ad ogni singolo volto. Si tratta del celeberrimo quanto disatteso principio di sussidiarietà che, nel rispetto dei ruoli e delle funzioni di ciascuno, valorizza il contributo al bene comune delle persone e delle loro aggregazioni.
Per quanto possa sembrare lontano e astratto, in realtà, è il modo in cui nel passato, soprattutto nel nostro Paese, è stata data risposta ad emergenze persino più gravi di quella che stiamo attraversando, come la peste nera, e che ha dato vita a congreghe, ospedali, ecc., che ancor oggi rappresentano un patrimonio importante per la vita del nostro Paese. Questa ricchezza di umanità, e di vero e proprio bene, non può essere dispersa, ma deve poter svolgere il ruolo che le compete affinché possa dare il proprio apporto al nostro Paese.
Stupisce, quindi, che, come ha ben denunciato qualche giorno fa dalle pagine di alcuni quotidiani il professor Stefano Zamagni, i decreti del governo trascurino proprio il Terzo Settore. Non si tratta solamente (e già sarebbe abbastanza), di una “dimenticanza” di carattere economico, ma del perdurare dell'idea che esistono solo due soggetti: lo Stato, in tutte le sue articolazioni, e l’individuo. Si pensava che quest'idea fosse ormai stata smontata dalla realtà, fatta di relazioni negate o affidate agli strumenti tecnologici, che tutti noi giornalmente viviamo, si pensava che l’ideologia della disintermediazione avesse mostrato tutti i suoi limiti e il suo carattere inumano. Invece, persiste una matrice profondamente statalista che sembra dar forma ad ogni provvedimento.
Eppure proprio l’eccezionalità della situazione che stiamo attraversando, tra il dolore per la morte dei propri cari, la limitazione della libertà di spostamento, l’esasperazione di un numero sempre crescente di persone, la paura per il futuro prossimo, avrebbe consigliato un altro tipo d'approccio, un approccio capace di mettere in gioco quelle forze in grado di farsi carico delle persone e delle comunità. La posta in gioco è troppo alta per continuare in una strada senza sbocco come quella intrapresa, perché si tratta del futuro dell'Italia, un futuro in cui il dolore, le paure, la rabbia e anche la speranza di questi giorni possano trovare un senso.
La ripresa economica e sociale del nostro Paese non potrà avvenire se non grazie al contributo di tutti e di ciascuno, se non grazie alla valorizzazione del desiderio delle persone, provate dalla durezza di questo periodo, di vivere ed essere protagoniste del proprio futuro.
Giovanni Gut
Vicepresidente nazionale MCL