L’Italia scalpita. Vuole ripartire al più presto. Gli imprenditori vogliono riaprire fabbriche, capannoni e cantieri. Milioni di lavoratrici e di lavoratori aspettano solo una chiamata e son pronti a metterci tutta la forza e l’intelligenza necessarie. Altri milioni di italiani non hanno mai smesso di dare il loro prezioso contributo, in alcuni casi sino al limite delle forze e rischiando anche la vita (soprattutto quando mancavano del tutto i presidi sanitari). Sin dalle prime ore della pandemia di coronavirus, intere filiere produttive hanno tenuto acceso il motore dell’Italia. A partire dall’intero sistema sanitario e farmaceutico, passando per il comparto alimentare, l’agricoltura, la grande e piccola distribuzione, l’autotrasporto e l’informazione. E ancora: forze dell’ordine, insegnanti e docenti di ogni ordine e grado. Poi tanto lavoro a casa (il cosiddetto smart working) per chi ha potuto.
Ora tocca quasi a tutti, mentre il sistema produttivo ha assoluta necessità di tornare a pieno regime. Sia le grandi aziende sia la piccola e media impresa, spina dorsale del nostro sistema industriale, hanno bisogno di ricominciare a produrre, distribuire e vendere. Sul mercato nazionale e soprattutto su quelli esteri. Perché di assistenza si muore e tornare al lavoro vuol dire anche sentirsi vivi.
Ma è necessario ripartire in assoluta sicurezza. In queste ore si stanno mettendo a punto le strategie della fase 2, quella che dovrebbe scattare il 4 maggio e restituire il lavoro a milioni di italiani. Ebbene, non si potrà e non si dovrà ripartire se non in condizioni di assoluta sicurezza. Sappiamo bene che, al momento, nessuno può dare certezze incontrovertibili sul piano sanitario. Infatti, tutto ci dicono che il virus non è stato sconfitto e che continuerà a circolare sino a quando (forse fra un anno) avremo un vaccino in grado di neutralizzarlo. Dunque, è necessario che il ritorno nei luoghi lavorativi sia accompagnato da tutte le misure di prevenzione e sicurezza per garantire il bene indisponibile della salute. Dal distanziamento sociale ai dispositivi personali di sicurezza, dai nuovi modelli di produzione alla diversa scansione dei tempi di lavoro, dall’effettuazione massiva di tamponi e analisi sierologiche alla sanificazione costante degli ambienti, sino alla presenza del personale sanitario nelle fabbriche, nelle officine, nei cantieri e negli uffici. Nei luoghi, cioè, dove si produce insieme, si costruisce insieme e si progetta insieme. Dove si crea valore, profitto e benessere collettivo.
A noi tocca, in questo frangente, ribadirlo con forza: non possiamo barattare la salute dei lavoratori con il ritorno al lavoro. Già in un recente passato abbiamo provato cosa voglia dire trovarsi dinanzi al tragico dilemma salute-lavoro. E’ accaduto a Taranto, città martire, che tanto ha ricevuto dal Siderurgico ma tantissimo ha pagato in termini di salute, ambiente e qualità della vita.
Proprio la durissima lezione di Taranto deve servirci come monito per agire responsabilmente. Ora sarebbe un errore imperdonabile spostare l’epicentro della pandemia dagli ospedali e dalle Rsa (residenze per anziani) ai luoghi di lavoro. Allora sì che il Paese dovrebbe fare i conti con un’emergenza incontrollabile. Ecco perché chiediamo prudenza ai decisori. Anzi, la pretendiamo. Non deve riaprire chi non è in condizione di offrire tutte le garanzie possibili ai lavoratori. Non ci sono certezze assolute, lo sappiamo tutti, ma va fatto il massimo sforzo.
Ci aspettiamo che dal governo (coadiuvato dalla sua corte di consulenti) vengano poche indicazioni, precise ma cogenti. E laddove manchino i requisiti non si dia il via libera. In questa fase sarà fondamentale la cooperazione di tutti i corpi intermedi legati al mondo del lavoro, come anche del Movimento Cristiano Lavoratori, perché l’attuazione delle misure di prevenzione sia monitorata costantemente e la vigilanza resti altissima. Cooperare è una scelta di responsabilità, ma il governo ascolti tutti e bilanci gli interessi di tutti. Anche su questo sarà giudicato, senza pregiudizi, ma con la necessaria e giusta severità.
Domenico Delle Foglie