NJOMBE MILK FACTORY, IN TANZANIA UN’IMPRESA A MISURA DI DIRITTI UMANI
Sviluppare un caseificio in uno dei distretti più poveri della Tanzania dove la malnutrizione è tra le prime cause di mortalità infantile. è lo scopo del progetto “Africa Milk Project” promosso da CEFA, il seme della solidarietà Onlus, e dal Gruppo Granarolo, che ha portato alla realizzazione della Njombe Milk Factory, una vera e propria filiera del latte capace di mettere a profitto gli sforzi di parecchi allevatori locali (la percentuale di allevatrici sfiora il 50 percento) coinvolti nel progetto.
Si tratta di circa 800 famiglie organizzate in una cooperativa, la Njolifa (Njombe Livestock Farmers Association) che possiedono per lo più una o due mucche. Con il latte in esubero sono poi prodotti anche yogurt e diversi tipi di formaggi, tra i quali mozzarella e formaggi stagionati (caciotte e provoloni), venduti in tutto il paese. Oltre a garantire alla cooperativa di allevatori di mucche un mercato sicuro per il latte, la latteria attualmente fornisce latte pastorizzato a circa 25 mila alunni delle scuole del distretto di Njombe, un quarto di litro di latte fresco la settimana. Questo piccolo ma autosufficiente sistema agro-zootecnico è in grado di produrre latte pastorizzato, yogurt e formaggi, assicurando cibo, lavoro e un'attività economica a una buona parte di tanzaniani del distretto di Njombe (nel centro sud del paese). Attualmente il progetto sta, un po' alla volta, diventando sostenibile: i proventi derivanti dalla vendita di tutti i prodotti della latteria sul territorio tanzaniano sta sostituendo gradualmente lo sforzo dell'organizzazione almeno per la spesa corrente: acquisto latte dagli allevatori, funzionamento macchinari, utenze, benzina per consegne, gestione ordinaria della struttura.
Il CEFA, che ha sviluppato questo progetto dal 2003, ha sempre promosso la cultura della democratizzazione come presupposto per l'affermazione e il rispetto dei diritti umani di tutti i soggetti protagonisti di quest’impresa. Questa cultura è stata introdotta in modo significativo sia nella latteria sia nella cooperativa di allevatori (Njolifa). Grazie a questo disegno “partecipativo”, nella latteria è stato costituito il comitato di gestione, nella cooperativa Njolifa il comitato direttivo in rappresentanza della cooperativa stessa. La latteria, oggi, ha un comitato di gestione incaricato dell'implementazione della strategia dell'azienda, che è costituito da diversi rappresentanti della società civile del distretto di Njombe. Le figure che ne fanno parte, e che hanno i medesimi poteri, sono: un membro dell’organizzazione CEFA, un portavoce della cooperativa di allevatori Njolifa, due rappresentanti dell’amministrazione – uno del distretto/provincia e uno della città – e un delegato della diocesi di Njombe. Per quanto riguarda, invece, la cooperativa Njolifa, costituita nel 1994, il comitato direttivo è stato rinnovato, tramite elezioni democratiche, solo nel 2007 e non senza qualche difficoltà. Le elezioni erano state rimandate per diversi anni per mancanza di fondi. Il CEFA le ha volute fortemente e ne ha finanziato il suo svolgimento.
Oggi la cooperativa Njolifa, a fronte di una quota di iscrizione, offre diversi servizi a supporto dell’attività degli allevatori (ciclo di seminari di aggiornamento con il veterinario, magazzino di stoccaggio della pumba - crusca di mais – nutrimento specifico per l’aumento della produzione di latte, ecc.). Inoltre il pagamento del latte agli allevatori viene effettuato ogni due settimane: vendendo il latte alla latteria questi devono soltanto portarlo sulla strada principale dove passa un camion per la raccolta. Prima dell’arrivo del CEFA e della presenza della latteria, gli allevatore passavano la loro giornata in strada cercando di vendere il latte con il rischio di non riuscirci e veder svaniti i loro sforzi. Inoltre, ricevendo i soldi ogni due settimane, essi hanno la possibilità di pianificare le spese familiari, cosa impossibile prima, poiché vendere il latte per strada faceva loro guadagnare ogni giorno solo pochi scellini, necessari per le spese giornaliere. Il pagamento quindicinale rappresenta di per sé una forma di risparmio e permette di avere una progettualità che tanto manca in queste zone.
Avendo la sicurezza del pagamento in tempi stabiliti, gli allevatori possono pianificare le spese della scuola per i loro figli garantendogli così un'istruzione e una speranza per il futuro.
C’è, inoltre, un altro aspetto da non tralasciare che, se non è legato strettamente a un modello partecipativo dell’impresa, ha a che fare certamente con l’attenzione ai dipendenti dell’azienda e quindi al rispetto dei loro diritti.
Attualmente sono 38 i lavoratori africani assunti dalla latteria. Il CEFA ha puntato sulla formazione dei lavoratori e questo dimostra “la cura” dell’organizzazione per la persona e per la sua “spendibilità” sul mercato africano. Il coordinatore delle attività produttive (che produce latte e formaggi) ha ricevuto addirittura una formazione tecnica in Italia, gli altri operai del settore lattiero-caseario sono stati seguiti in loco da Granarolo che ha trasferito loro il proprio know-how.
è da ricordare anche l’aspetto economico: il salario dei dipendenti rispetta il contratto nazionale del lavoro e il CEFA si confronta di continuo con l’ufficio del lavoro di Njombe per la stesura dei contratti stessi. Nella maggior parte dei casi, essendo tutte figure specializzate, i dipendenti percepiscono un salario base mensile non inferiore a 100 mila scellini tanzaniani (57 euro) cui vanno sommati gli straordinari, portando spesso lo stipendio a circa una cifra doppia. Nel 2008 e, visto il successo, anche nel 2010, è stato organizzato dal CEFA un convegno sui diritti-doveri dei lavoratori. Non mancano nemmeno i controlli sanitari periodici, a carico del CEFA, sui dipendenti. Oltre a controllare la salute dei lavoratori, queste ispezioni garantiscono gli standard qualitativi del latte lavorato e dimostrano la correttezza nelle procedure senza dimenticare l’attenzione per il benessere degli impiegati stessi.
La partecipazione al processo decisionale aumenta la fiducia nel risultato finale e fa sentire i beneficiari (allevatori, consumatori, società civile, ecc.) parte integrante dell’impresa. La partecipazione è quindi un percorso di cambiamento, che attiva un processo di innovazione “inclusiva” della democrazia. Probabilmente, per la prima volta in questa parte d’Africa, si è dato più spazio all'autogoverno e alla comunità locale. Va da sé che questo modello di società più aperta sia il luogo ideale dove i diritti umani sono salvaguardati e messi in pratica.
Sara Laurenti