L’economia in Europa registra timidi segnali di ripresa e, secondo l’Istat, ciò vale anche per l’Italia. Ripartiranno anche le assunzioni? Tutti ce lo auguriamo ma non è scontato che sia così. Le categorie più a rischio sono note: giovani, donne, lavoratori più anziani. Per le prime due sinora si è fatto poco, come attestano gli altissimi tassi di disoccupazione e di inattività.
L’emergenza più grave è la grande quantità (più di due milioni) di ragazzi e ragazze che non fanno nulla: non sono più a scuola e non cercano neppure lavoro. Per quanto riguarda i più anziani lo stanziamento principale è stato finora la cassa integrazione (in deroga) che però si limita a prolungare un limbo di inattività, una “sussidiarietà” spesso senza prospettive. Il Parlamento ha recentemente approvato il “decreto lavoro” rivolto principalmente ai giovani. Il piatto forte sono gli sgravi contributivi alle imprese che assumono disoccupati sotto i ventinove anni, senza diploma. Sembra che molte imprese siano interessate (sembra) e le stime parlano di 100.000 nuovi posti di lavoro. Sarebbe un (piccolo) successo, ma forse il governo è troppo ottimista: l’efficacia netta di questo tipo di incentivi è dubbia.
L’esperienza degli altri Paesi europei segnala che la via maestra per aiutare i giovani senza esperienza (né qualifiche) passa per le politiche di formazione e i Servizi per l’impiego, questa è anche la ricetta del PPE per l’occupazione giovanile, come ha sottolineato Pier Paolo Arzilla nel suo articolo apparso sul sito della Fondazione Italiana Europa Popolare (
www.eupop.it).
Il tutto accompagnato da una radicale riforma dei centri per l’impiego che devono specializzarsi in due target: lavoratori maturi che vivono esperienze di cassa integrazione e giovani che non sono ancora entrati nel sistema.
Il premier Letta e il ministro Giovannini lo sanno bene. Per questo è importante sfruttare al meglio il programma “garanzie per i giovani” cofinanziato della UE, a partire dal 2014, e incentrato proprio sulla transizione scuola-lavoro.
In autunno sarà senz’altro necessaria una più ambiziosa e incisiva “fase due”, che affronti anche la sfida del lavoro femminile, più volte da noi sottolineata, (con incentivi specifici e servizi) e della disoccupazione fra gli anziani (politiche di invecchiamento “attivo” con la collaborazione delle imprese).
Per far sì che la ripresa porti nuovo lavoro occorrono anche politiche capaci di rilanciare i comparti occupazionali che sono stati più colpiti dalla crisi: non solo l’industria e le piccole e medie imprese, ma anche i Servizi. In altri Paesi europei il settore terziario ha tenuto più che in Italia.
Quali sono i “colli di bottiglia” che ci impediscono di sviluppare i servizi ed il loro potenziale di occupazione, soprattutto al Sud? Bisogna approfondire questo tema senza illudersi che la auspicabile ripresa dell’industria, soprattutto grazie alle esportazioni, possa da sola risolvere l’emergenza lavoro.
Il primo appuntamento importante per il Governo (che noi sul tema lavoro incalzeremo costantemente), utile per rilanciare il binomio crescita-lavoro, è la legge di stabilità prevista per settembre. Sarà quello il momento per definire obiettivi e risorse. Sempre che nel frattempo non sia stata minata, irreversibilmente, la stabilità del Governo, con gli esiti economici drammatici che si possono immaginare: sarebbe un grave errore.
Si è convincenti se si ha una visione generale credibile, se si realizzano le cose: non si è convincenti (e vincenti) se il consenso si cura solo per evitare che arrivi “il nemico”.