Le giornate che hanno preceduto il Congresso Mondiale della Famiglia che si è svolto a Verona, hanno mostrato un volto dell’Italia che non può non preoccupare.
Questo evento ricorrente e che ha visto la presenza di politici, amministratori ed esperti provenienti da diversi paesi, in particolare dall’Europa dell’Est, quest’anno è stato oggetti di attacchi e della mobilitazione delle organizzazioni che propongono una concezione diversa dalla famiglia naturale. Sono piovute accuse di fanatismo e oscurantismo espresse, in alcuni casi con maldestra ignoranza, alla quale non si è sottratto lo stesso vice premier Di Maio, che ha parlato, sprezzantemente, di “argomenti medievali”.
Si è giunti ad esercitare pressioni anche nei riguardi della partecipazione “a titolo personale” dello studioso Giancarlo Blanciardo, attuale presidente dell’Istat, con un “appello” della CGIL e delle Femministat a nome dei “lavoratori e delle lavoratrici” preoccupati per “un convegno che si propone di discutere la soppressione di diritti fondamentali”. E’ solo apparentemente paradossale che gli autoproclamatisi difensori dei diritti abbiano inteso contrastare la partecipazione e lo svolgimento di un evento nel quale si propongono idee differenti. La verità è che, quando si è fuori da una visione ancorata alla legge naturale ed alla tolleranza, prevalgono le impostazione ideologiche che, sui temi sensibili, come la storia dimostra, diventano pericolose nella realtà, per le possibili implicazioni di un modello totale e prevalente. Questi sono gli effetti involutivi dell’affermazione della società radicale che oltre a sostenere, non solo in campo etico, l’assoluta autonomia della scelta individuale, afferma come valore il carattere positivo ed autonomo conferito all’esercizio di una sessualità avulsa dalla generatività.
La mobilitazione ostile al convegno ha assunto un carattere politico, espressa da una contro manifestazione nella stessa città di Verona e, di conseguenza, con un apparato di forza pubblica che, per ragioni di sicurezza, ha mostrato l’immagine di partecipanti scortati per evitare scontri e possibili aggressioni. Poliziotti in tenuta anti sommossa e barriere mobili in cemento e metallo. Carlo Costalli presidente Mcl, presente all’evento di sabato, non ha potuto non constatare come “in Italia non si possa più parlare di questi temi senza essere offesi o, peggio, protetti dalla polizia!”
La motivazione di questa manifesta aggressività nei riguardi di un evento che dovrebbe, da tutti, essere considerato una espressione di idee e di proposte da rispettare , probabilmente, è riferibile al fatto che sarebbero stati presenti il vice presidente del Consiglio Salvini e il Ministro per la famiglia Fontana che ne aveva dato il patrocinio. Non sono bastate le esplicite dichiarazioni del Ministro dell’interno e di altri esponenti che hanno escluso l’intenzione di “togliere diritti”, bensì di aggiungerne, per evitare una mobilitazione che ha, quindi, definitivamente assunto il segno dell’intolleranza. Il documento finale è stato coerente con questa impostazione chiedendo tra l’altro, “una protezione dei minori contro l’utero in affitto, a partire dai loro diritti ad avere una mamma e un papà, a non diventare oggetti di compravendita e di abusi sessuali … e a ricevere una educazione che non metta in discussione la loro identità sessuale biologica…”, “il riconoscimento della perfetta umanità del concepito”, ma anche “la protezione da ogni ingiusta discriminazione dovuta all’etnia, alle opinioni politiche, all’età, allo stato di salute o all’orientamento sessuale”.
Peraltro, parlare del diritto ad avere più modelli di famiglia non è esatto. In ultima analisi, l’affermazione di una modalità alternativa a quella naturale e la sua forzata equiparazione - nonostante i limiti esattamente definiti dalla Costituzione vigente - intende dilatare sempre più l’esercizio della tutela dello Stato da un modello che svolge una funzione sociale, verso dinamiche che restano nella sfera privata.
La famiglia non può essere una somma di individui; né si può paragonare, quella fondata sul matrimonio, ad una aggregazione sociale diversamente regolamentata dalla Costituzione; così come la famiglia - da porsi al centro delle politiche di sviluppo in senso generale - non può essere relegata ad un luogo del privato, né addirittura ad una patologia sociale, come nelle intenzioni dell’on. Monica Cirinnà, con i suoi insulti rispetto al programma “Dio, Patria, Famiglia” che, l’ignoranza dominante ha attribuito al fascismo, ma che nasce dal pensiero risorgimentale di Giuseppe Mazzini.
Per la verità, come ha affermato monsignor Crepaldi nelle sue lezioni sulla Dottrina sociale della Chiesa: “le politiche della vita e della famiglia vanno collocate al primo posto dell’agenda politica”; esse, ha precisato “rappresentano la base per ogni vera politica e questa constatazione ci indica la drammaticità della situazione in cui viviamo”.
Una drammaticità della condizione familiare che mostra le inadempienze politiche, ma che, per l’intolleranza e il carattere violento con i quali vengono colpiti chi ne richiede la tutela, sta assumendo aspetti assai critici, da non sottovalutare per il permanere di un clima di sereno confronto, di tolleranza, di democrazia.
Pietro Giubilo
Vice Presidente Fondazione Italiana Europa Popolare