La piazza San Giovanni di sabato scorso, sicuramente riempita da una mobilitazione di popolo e non solo di vertice, a un'osservazione obiettiva, anche senza inseguire i piccoli giochi politicisti di differenziazione all'insegna del morettiano “mi si nota di più se vengo o se non vengo”, non ha contenuto tutta l'area d'alternativa all'attuale governo (quello che abbiamo spesso definito, con una formula del presidente Carlo Costalli, “centro-destra plurale”).
La manifestazione non ha, quindi, disegnato pienamente i contorni di quell'alterativa, che è ancora largamente da definire (non è solo una questione di leadership) nei suoi contorni, anche rispetto a densi snodi valoriali e alla visione complessiva. Ciò non significa, come anche qualche amico sembra indotto a credere o farci credere, che l'attenzione vada rivolta, ponendosi lo scopo di dare un protagonismo alla cultura europopolare e a quanto tradizionalmente si colloca al centro, alla contemporanea Leopolda renziana. Ancor più illusoria, intimamente minata dall'eterno ritorno del calcolo moderatista, l'ipotesi di dar casa a quanti si riconoscono in una certa storia in un contenitore di fortuna costruito intorno a un premier Giuseppe Conte tramutato, con un restyling che ha del grottesco, in credibile figura neomorotea.
Dove possiamo trovare, allora, almeno in nuce o tentativamente, quella soggettività dinamica e articolata in cui potrebbero sviluppare la loro azione quanti rivendicano l'attualità del cattolicesimo popolare? La risposta viene, ancora una volta, dai territori. Come ben chiarisce il recente documento per le elezioni regionali umbre elaborato/diffuso da Movimento Cristiano Lavoratori e Associazione Esserci, bisogna guardare con simpatia a quella declinazione più ampia e civica, perciò inclusiva e non meramente reattiva, che il centro-destra assume quando si propone per il buongoverno delle realtà locali. Una modalità di presenza che si caratterizza per l'essere, assumendo ancora un'espressione di Costalli, “a trazione popolare”. Nel senso di un “popolarismo profondo” e capace di fare orizzonti alle comunità, guardando all'Europa non come un avversario da abbattere, piuttosto quale cantiere in cui costruire.
Rivoltando la piramide, la sussidiarietà va giocata anche nel pensarsi e organizzarsi politicamente, si possono federare delle esperienze così facendone un fattore di movimento. Dalla capacità di determinare questo “incontro tra i tentativi”, favorendo una virtuosa competizione d'idee e di programmi, viene la legittimazione di una necessaria leadership: non bastano consacrazioni disintermediate od ottriate (ancor meno la pasticciata composizione tra esse, che è forse il limite più forte di quanto avvenuto sabato scorso).
Oltre piazza San Giovanni, insomma, senza indirizzarsi sul binario che conduce all'autoreferenziale Leopolda o subire la suggestione del Conte neodemocristiano meridionalista, ci si può incamminare su un percorso che connetta l'Italia a un'Europa popolare che non è velleitario continuare a spendersi per edificare nel quotidiano (in un centro-destra senza caporali).
Marco Margrita