Non c’è italiano, uomo donna o bambino, che non abbia ascoltato mille volte la formula magica contro il coronavirus: distanziamento sociale. Cioè rispettare una distanza minima dalle altre persone (un metro lineare e più) al fine di non contagiare e di non essere contagiati. A dire il vero, pur rispettando le buone regole della medicina e il suo linguaggio scientifico, meglio sarebbe stato parlare di distanziamento fisico, perché di questo si tratta. Infatti, sin dalle prime ore della pandemia non ci è stato chiesto altro se non di allontanarci fisicamente gli uni dagli altri. Anche dalle persone più care, anzi soprattutto da queste e in particolare dagli anziani e dai soggetti fragili più predisposti all’aggressione da parte del virus.
Ma la realtà, degna di un racconto distopico, ci ha spinto a riscoprire il senso e il valore della nostra socialità. L’uomo, infatti, è un essere sociale: non può vivere se non in relazione e in comunità. Dinanzi alla pandemia, esperienza di cui quasi nessuno ha memoria, se non attraverso la rivisitazione storica della “spagnola” che fra il 1918 e il 1920 fece oltre cinquanta milioni di morti nel mondo, gli italiani hanno riscoperto il valore e forse anche il senso dello stare insieme. Nei piccoli come nei grandi gesti, sino al punto di coltivare la nostalgia dello spazio umano di ieri con la sua infinità di riti e momenti sociali: dalla messa di Pasqua alla manifestazione del Primo Maggio, dalle code ai supermercati alle domeniche nei centri commerciali, dalla partita allo stadio al tuffo in piscina, dall’ora di palestra alla corsetta in bici con il gruppo degli amatori, dalla catechesi in parrocchia alla riunione nella sezione di partito, dal torneo di bocce alla partita di scopone nel circolo di paese, dalla passeggiatina al parco con il cane ai giochi coi bambini sulle giostrine. Sì, ci sono mancate anche le lunghissime ore a scuola fra un compito e un’interrogazione e poi i trasferimenti in auto o con i mezzi pubblici. E pure le pause caffè con i colleghi e gli happy hours, e persino le pericolosissime riunioni di condominio. Abbiamo vissuto due mesi di una vita povera di socialità e sogniamo di tornare presto alla normalità. Ma il buon senso e la prudenza consigliati ci imporranno un nuovo stile di socialità.
Tutto questo ci interroga profondamente, non solo come persone e come famiglie, ma anche come corpi intermedi. Questi, infatti, hanno avuto storicamente un ruolo fondamentale come luoghi privilegiati per l’esercizio della socialità. Una sorta di scuola a tempo pieno del valore relazionale della vita umana. Uno spazio per l’esercizio del confronto dialettico e per l’apprendimento delle regole democratiche che nutrono la vita civile. Una fucina di competenze da spendere sul mercato della responsabilità sociale. Una fabbrica di capitale sociale, senza tempi morti e ad altissima produttività. Un bacino fondamentale per quell’esercito di volontari che costituisce un patrimonio collettivo il cui valore si è distinto proprio nel corso della pandemia.
Ma i corpi intermedi sono soprattutto luoghi sociali preziosi in cui l’io sa fondersi magnificamente in un noi. Di gruppo, associazione, movimento… L’aver vissuto due mesi lontano dai “nostri” ora comincia a farsi sentire. Sì, per fortuna, anche per i corpi intermedi, ha avuto un ruolo fondamentale la rete e la possibilità di coltivare la relazione attraverso le nuove tecnologie. Ma noi tutti sappiamo bene che certe cose possiamo dircele solo guardandoci negli occhi. Che anche le dinamiche dei gruppi primari richiedono una fisicità che non sappiamo per quanto tempo ci sarà impedita. Che la vita dei corpi intermedi ha una sua pratica quotidiana e anche una ritualità necessaria, in cui il ruolo e la partecipazione dei singoli sono necessari. Così come vanno rispettate scadenze, impegni, momenti comuni. E’ il corso normale della vita sociale che si rinnova costantemente proprio perché fa fronte a una domanda che viene dal profondo della comunità, con i suoi bisogni sempre nuovi e con le risposte al passo coi tempi da dispiegare.
Per i corpi intermedi che hanno costruito la ricchezza del patrimonio sociale italiano si avvicina, dunque, il momento di tornare a correre, pur sapendo che si farà fatica, tanta fatica. Non tutto sarà come prima, anzi… Ma nulla può fermare un corpo vivo che freme di passioni e si nutre di valori. Sì, avete capito. Esattamente come il Movimento Cristiano Lavoratori. Con i suoi circoli disseminati in ogni angolo del Paese, con le sue strutture di servizio alle persone sempre aperte al pubblico e in particolare ai più poveri e marginali, con le sue svariate articolazioni territoriali in perenne ascolto e dialogo con il popolo. Dunque, è ora di riprenderci la nostra fetta di vita sociale. Con tutta la sua ricchezza di umanità.
Domenico Delle Foglie