Quando le crisi, da politiche, diventano di sistema? La domanda è certamente legittima dinanzi agli sviluppi di una crisi politica, senza sbocchi, innescata dal voto del 4 marzo. Cioè dinanzi all’impossibilità di costruire una qualsivoglia forma di maggioranza politica e parlamentare, in grado di garantire un governo al Paese.
La crisi può diventare di sistema se una delle figure istituzionali più importanti della Repubblica, cioè il garante della Costituzione, viene lasciato solo. Se attorno all’arbitro costituzionale si crea il vuoto politico. Se le sue sollecitazioni non vengono colte. Se le sue proposte di tregua politica dinanzi all’escalation dello scontro politico-partitico non vengono accolte. Se le sue ipotesi per traguardare la crisi, anche con una road map, vengono respinte prim’ancora che vengano formulate. Se le sue preoccupazioni legate alle scadenze internazionali vengono volutamente sottovalutate. E soprattutto se nessuna voce si leva dalla società civile per sostenerlo e rassicurarlo nella sua azione pacificatrice e moderatrice, allora…
Allora viene da chiedersi se davvero questo Paese abbia esatta contezza della posta in gioco: il bene fragile della democrazia interna, la collocazione nello scacchiere occidentale, i vincoli di solidarietà europei e internazionali, le responsabilità verso gli alleati, la necessità di salvaguardare i ceti deboli, l’opportunità di sostenere la crescita e lo sviluppo, l’inderogabile dovere di tenere i conti in ordine. Senza sottovalutare i temi caldi dell’immigrazione e della sicurezza interna. Tutte questioni di non poco conto e che dovrebbero gravare come un macigno sulla responsabilità di partiti a dir poco capricciosi, che hanno gestito l’esito elettorale proporzionale con la mentalità di un immaturo maggioritario. La mancata consapevolezza dell’assenza di “vincitori” e della presenza, piuttosto, di tanti “non vincitori”, dovrebbe indurre tutti alla moderazione. Invece la Lega e i 5Stelle, ovvero i detentori del 51% del voto popolare espresso, in preda a un eccesso di euforia, sembrano voler chiudere la partita con una sorta di referendum elettorale da svolgersi nel più breve tempo possibile, così da non offrire agli altri competitor la possibilità di riorganizzarsi.
E se entrambi superassero la fatidica soglia del 40 per cento alle prossime elezioni? Ecco servito il bipolarismo del Secondo Millennio: sovranisti contro populisti. E se entrambi sfiorassero il 40% e quindi senza un vero vincitore, chi impedirebbe un accordo fra sovranisti e populisti? Saremo pure pessimisti, ma in tutti e due i casi, tremeremmo per la tenuta democratica del Paese.
Ecco perché oggi e non domani (potrebbe essere troppo tardi) i moderati italiani dovrebbero far sentire la loro voce e schierarsi a fianco del presidente Mattarella nella sua difficile impresa. E non ci si venga a dire che gli italiani sono diventati tutti sovranisti e populisti. Piuttosto sono i moderati, forse persino impauriti dall’aggressione sociale messa in campo dai giustizialisti e dai securitari, che hanno scelto di disertare e di tacere. E magari anche i cattolici potrebbero finalmente risvegliarsi dal sonno profondo in cui sono caduti. Dovrebbero infatti ricordare che Sergio Mattarella è l’ultimo erede di quella cultura politica che ha fatto dell’Italia una democrazia moderna. Insomma, meriterebbe l’aiuto dei moderati, dei liberali, dei riformisti e dei cattolici per frenare il voto sotto l’ombrellone, affrontare le grandi emergenze finanziarie e del lavoro, far decantare la rabbia dei “non vincitori”, garantire un voto ordinato e democratico. Noi ce lo auguriamo.
Domenico Delle Foglie