Il ponte tra lavoro e famiglia si può alimentare solo attraverso una sensibilità a volte smarrita: il lavoro non garantisce solo un reddito, ma soprattutto restituisce dignità alla persona
“Il lavoro resta la prima e la più grave questione sociale. Anzitutto per i giovani, ma non soltanto per loro. E’ necessario che ve ne sia in ogni famiglia”. Ben detto, Presidente Mattarella, soprattutto per il ponte costruito tra lavoro e famiglia. Nella consapevolezza che senza lavoro non c’è famiglia, e se c’è famiglia senza lavoro, le trappole della povertà e dell’esclusione sono pronte a scattare.
Il ponte tra lavoro e famiglia si può alimentare solo attraverso una sensibilità a volte smarrita: il lavoro non garantisce solo un reddito, ma soprattutto restituisce dignità alla persona (donna-uomo-giovane) che nel lavoro esprime se stessa. Memorabili, a questo riguardo, le parole di Papa Francesco, pronunciate nelle sue visite a Cagliari e a Genova e nel messaggio per la Settimana sociale dei Cattolici italiani. Ne riproponiamo alcune: “Lavoro vuol dire dignità, lavoro vuol dire portare il pane a casa, lavoro vuol dire amare!”; “L’obiettivo vero da raggiungere non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti”; “Gli uomini e le donne si nutrono del lavoro e con il lavoro sono unti di dignità”; “Oggi il lavoro è a rischio. E’ un mondo dove il lavoro non si considera con la dignità che ha e che dà”. Inevitabile una considerazione: proprio in questi giorni il termine “dignità” è ricomparso nel dibattito pubblico, associato alla proposta del “reddito di dignità”, affiancato e giustapposto immediatamente al più noto “reddito di cittadinanza”. L’auspicio che facciamo è quello di cogliere tutta la profondità antropologica e umanistica evocata dalla parola dignità, intesa come il bene più prezioso che l’uomo possiede e dal quale derivano una larga gamma di diritti e di doveri. Dunque, evocare la dignità richiede la presa in carico di una complessità che a volte appare molto sfumata.
Ecco perché si può essere grati al Presidente della Repubblica. Nella semplicità delle sue parole c’è una spinta all’unità che va colta. Tenere insieme il lavoro e la famiglia li colloca in un solido orizzonte di senso che prende spunto dal dato di realtà e non insegue le mode o le semplici logiche individuali del desiderio. In sostanza, si intravede una sana e proficua destinazione dell’agire umano che coniuga il lavoro, cioè la possibilità di garantire ad ogni cittadino l’opportunità di procurarsi il necessario per vivere, con la responsabilità sociale insita nel fare famiglia (per chi già ce l’ha) e nel progettare famiglia (per chi deve costruirsi un futuro).
Tenere insieme il lavoro con la famiglia toglie alibi a tutti, a cominciare dalla politica che non può più considerare il lavoro e la famiglia come variabili indipendenti. E dunque deve prendere molto sul serio l’auspicio che “di lavoro ve ne sia in ogni famiglia”. La mancanza di lavoro in una famiglia non deve essere solo un indicatore necessario per le politiche assistenziali. Deve assurgere, nel senso della sua promozione, come uno degli elementi costitutivi del fare famiglia. Guardare in un’ottica unitaria a lavoro e famiglia vuol dire combattere la logica oppositiva che tanta cultura dominante ha alimentato, anche culturalmente e sotto il profilo comunicativo. L’affermazione “single è bello”, al di là della sua matrice individualistica e autoreferenziale tipica della post-modernità, nasconde una logica di disvalore e disfavore nei confronti della famiglia e della sua funzione sociale e comunitaria. Dunque, riconnettere lavoro e famiglia, offre la possibilità di riconsiderare, senza inutili dogmatismi o stolidi arroccamenti, un solido “favor familiae” che certamente non è una slabbratura costituzionale. Anzi, dà sostanza a un progetto: puntare sul lavoro come strumento principale per far uscire persone e famiglie dalle angustie dell’assistenzialismo e contenere i crescenti affanni del welfare. Correre in soccorso delle famiglie povere e senza lavoro è un dovere, ma tutti dobbiamo avvertire la necessità di contribuire alla crescita mediante politiche attive per il lavoro che incrocino la grande domanda di lavoro che c’è.
Come è noto, la nostra Costituzione è fortemente connotata dal lavoro che costituisce il fondamento della Repubblica. Al punto da avere nel trinomio occupato-disoccupato-pensionato, l’asse portante della stessa declinazione costituzionale. La possibilità di riconnettere sempre più intensamente lavoro & famiglia, darebbe anche nuovo slancio alla Costituzione che è viva (e tale resta) se sa cogliere il meglio che la vita comune sa esprimere.
Domenico Delle Foglie